Taglio alle pensioni, bugiardi e incoscienti

Si governa per il benessere di tutti e non per perseguitare chi ha contribuito insieme a tutte le categorie allo sviluppo del Paese, nel rispetto delle leggi e versando tasse e contributi fino all'ultimo centesimo.

Guia Melcherci

Non passa quasi giorno che il Ministro Di Maio non torni a proclamare che il Governo taglierà “senza pietà” le pensioni d’oro. L’ultima volta utilizzando un “disegnino” che, per coloro che hanno studiato, è un diagramma di flusso. Questo intendimento si era ben capito da tempo; nel famoso “contratto di governo” compariva questo programma indicando che sarebbe stato attuato per le pensioni calcolate col metodo retributivo aventi importo superiore a 5.000 € netti al mese, adeguandole ai contributi versati con una soglia di salvaguardia, appunto, di 5.000 € netti al mese.

Cosa significava tutto ciò? Molto chiaramente indicava che:
  1. Solo le pensioni eccedenti i 5.000 € netti mese (circa 110.000 € lordi/anno) sarebbero state toccate
  2. Sarebbe stato effettuato un ricalcolo contributivo puntuale
  3. Ove il ricalcolo avesse garantito una pensione superiore a 5.000 € netti/mese, la pensione sarebbe stata abbassata a quel valore.
  4. Ove il ricalcolo avesse determinato un importo inferiore ai 5.000 € netti/mese, sarebbe stata comunque garantita una pensione di 5.000 euro netti.

Già leggendo il contratto di governo vennero alla luce alcune incongruenze e obiezioni e fondatissime ipotesi di ricorsi e di incostituzionalità.

Citando le principali:

a - Una pensione retributiva di 5.500 € netti/mese i cui contributi ne giustificassero una da 4.500 € sarebbe stata tagliata a 5.000 €. Una pensione altrettanto retributiva e altrettanto non giustificata dai contributi, ma di importo di 4.999 € netti/mese i cui contributi giustificassero un valore di 3.500 € non sarebbe stata toccata. Alla fine i due ipotetici pensionati avrebbero avuto una pensione identica, ancorché la contribuzione giustificasse cose ben diverse.

b - Le pensioni più alte sono tipicamente quelle nelle quali il rapporto tra importo del calcolo retributivo e importo del calcolo contributivo è più sfavorevole in ragione del sistema di calcolo retributivo che era regressivo con il reddito; pertanto un intervento solo su di esse colpisce quelle già meno favorite dal sistema e, destinando le risorse ricavate a interventi di integrazione delle pensioni più basse, costituisce un incremento della quota assistenziale a carico del sistema previdenziale; esattamente l’opposto di ciò che si chiede da anni,

c - Le pensioni notoriamente privilegiate in termini di importo percepito nella aspettativa di vita rispetto ai contributi versati sono notoriamente le famose pensioni baby che costano all’INPS circa 9 miliardi di € all’anno. Queste pensioni avendo importi relativamente bassi, uscirebbero indenni da qualsiasi ricalcolo.

d - Notoriamente INPS non dispone dei dati contributivi di tutti i pensionati, in particolare degli ex dipendenti pubblici, pertanto il ricalcolo contributivo accurato è impossibile, aprendo la porta a calcoli teorici che certamente sarebbero impugnati.

e - L’intervento sarebbe strutturale (permanente nel tempo), il che contrasta con tutte le sentenze della Consulta (anche quelle sfavorevoli ai pensionati) che hanno sempre sottolineato la necessità della temporaneità delle misure.

f - L’intervento, diversamente da un contributo di solidarietà che è un prelievo a valle della determinazione dell’importo della pensione, andrebbe retroattivamente ad alterare il calcolo dell’assegno, che era basato su leggi dello stato, aprendo la porta a molti altri ricorsi.

Naturalmente il contratto di Governo è stato sottoscritto in barba alle obiezioni di cui sopra e nonostante uno de due sottoscrittori (la Lega) dovesse essere consapevole che questo tipo di intervento avrebbe penalizzato in larga parte i pensionati del nord e avrebbe spostato risorse assistenziali verso sud.

Il 6 agosto è stato presentata in Parlamento una proposta di legge a firma D’Uva (M5S) e Molinari (Lega) che in teoria avrebbe dovuto essere l’attuazione di quanto contenuto nel contratto di Governo in tema di taglio alle pensioni. In teoria, perché la proposta è molto diversa e, oltre a prestare il fianco alle stesse critiche di quello precedente, ha alcuni punti di ulteriore debolezza, anche molto gravi.

Oltre ad avere abbassato la soglia di esenzione dal provvedimento a 4.000 € netti/mese (l’appetito vien mangiando), il ricalcolo contributivo è scomparso dall’orizzonte, sostituito da una riparametrizzazione basata sull’età anagrafica del pensionato all’atto del pensionamento, comparata con l’età di legge per la pensione di vecchiaia nello stesso momento; una formula cervellotica (anche nei calcoli di attuazione) che, come detto, aggiunge caos al caos e introduce i seguenti gravissimi effetti potenziali:
  1. Penalizza, a parità di rapporto tra pensione retributiva e pensione contributiva coloro che sono usciti dal lavoro per anzianità e non per vecchiaia, cioè tipicamente coloro che avevano molta anzianità di servizio (da 40 anni in su).
  2. Colpisce tutte le categorie che sono state costrette a lasciare il lavoro forzatamente, cioè le donne che in epoche passate dovevano andare in pensione prima degli uomini per legge e soprattutto tutti coloro che hanno perso il lavoro per ristrutturazioni etc. (esodati). Su quest’ultimo punto, persino la deprecata legge Fornero aveva previsto delle salvaguardie in ragione della particolare debolezza dei soggetti. Sarà da ridere quando tribunale e Consulta dovranno esaminare ricorsi di persone che sono state costrette a lasciare il lavoro, versando contributi previdenziali volontari, e per questo vengono punite.
  3. Non tiene in alcun conto l’ammontare dei contributi versati che, in un sistema previdenziale, dovrebbero essere il pilastro principale e neppure più delle retribuzioni percepite (che determinavano il calcolo retributivo) in questo modo sganciando completamente la pensione da ciò che si è fatto durante la vita lavorativa e trasformando la previdenza (accantoni e così maturi un diritto) in un arbitrio dello stato: ti restituisco se voglio.
  4. Fornisce un ulteriore appiglio di ricorso ai pensionati colpiti

In questo panorama di confusione, approssimazione e ottusità, il ministro Di Maio continua a esternare e, nonostante l’evidenza contraria e dettagliate e autorevoli spiegazioni di esperti di previdenza del calibro di Alberto Brambilla, Stefano Patriarca e altri, sostiene non solo la bontà ed equità della proposta di legge (una delle più ingiuste che la storia ricorderebbe) ma anche, pervicacemente, plagia i suoi seguaci sui social network attaccando i giornalisti che non avrebbero capito la proposta e chiedendo di condividere i post nei quali afferma falsamente che la proposta taglierebbe le pensioni solo se non giustificate dai contributi. 
Un sistema ributtante di ricerca del consenso e però al passo con i tempi, poiché ormai la verità viene identificata nella viralità sui social e pertanto, ciò che viene condiviso molto viene automaticamente considerato vero e crea consenso.

Tuttavia, poiché la proposta D’Uva - Molinari di contributi non parla affatto, e nonostante questo sia stato segnalato al Ministro più volte, concediamo il beneficio del dubbio: potrebbe semplicemente non aver letto la proposta o non averla capita.

Nell’un caso e nell’altro, così come nel caso di una menzogna volontaria il risultato sarebbe comunque una inadeguatezza di Di Maio a fare il ministro e per rappresentare graficamente questo, nulla mi è parso meglio che utilizzare un diagramma di flusso come ha fatto Di Maio.

A ognuno le sue considerazioni.
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