Effetto trascinamento: la continua erosione delle pensioni

In poco più di vent’anni sono state applicate sette misure legislative per ridurre il potere d’acquisto delle pensioni. Come fermare la falcidia? E’ argomento di questo articolo

Antonio Dentato   

Componente Sezione Pensionati Assidifer - Federmanager








Premessa

Contro il nuovo meccanismo di perequazione automatica delle pensioni disposto con la Legge di Bilancio 2023 (art. 1, c. 309, L. 29 dicembre 2022, n. 197), probabilmente, saranno presentati ricorsi.  (E’ accaduto anche in precedenti occasioni). Ricorsi che, dopo il vaglio dei giudici di merito, potrebbero essere rimessi alla Corte Costituzionale. Con quale esito? Non possiamo prevederlo.  Sappiamo però quello che la Corte ha detto quando ha emesso sentenze su questioni della stessa natura. La più recente è la Sent. Cost. n. 234 del 22/10/2020. A questa, senza un diverso richiamo, faremo riferimento nel corso dell’articolo. Si tratta della sentenza che si è pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale delle norme contenute nella legge n. 145/2018; quelle, in particolare, che, sulle pensioni superiori a 100.000 euro lordi avevano imposto un contributo di solidarietà per 5 anni (2019-2023), e, nel contempo, avevano introdotto una modifica peggiorativa del meccanismo perequativo per 3 anni (2019-2021). Andiamo alle due misure riduttive. 
Il contributo di solidarietà
Sulla legittimità della riduzione delle pensioni, mediante un contributo di solidarietà (l. n.145/2018 c. 261), per un periodo di 5 anni, la Consulta si è espressa in modo inequivocabile. Ha dichiarato la manifesta irragionevolezza di questo prelievo quinquennale tenendo conto che la proiezione della manovra di finanza pubblica è limitata a 3 anni (art. 21 della legge 31 dicembre 2009, n. 196). Da tenere presente inoltre, dice la sentenza, che la proiezione triennale “ha costituito un parametro di accertamento dell’illegittimità costituzionale” anche in altre vertenze in cui la Consulta à stata chiamata a pronunciarsi in materia di lavoro. Aggiungiamo due passaggi che si leggono nella sentenza. 
Il primo: “Nell’ambito strettamente previdenziale, è […] evidente la tendenza dell’ordinamento a non proiettare oltre il triennio valutazioni e determinazioni cui si addice uno spazio di osservazione più circoscritto”
Il secondo, ancora più significativo per quello che diremo dopo: il richiamo al “raffreddamento della perequazione automatica disposto dall’art. 1, comma 260, della legge n. 145 del 2018 per una durata triennale”.  
In conclusione la sentenza ha dichiarato “l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 261, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 […] nella parte in cui stabilisce la riduzione dei trattamenti pensionistici ivi indicati «per la durata di cinque anni», anziché "per la durata di tre anni”.
Il meccanismo di rivalutazione automatica delle pensioni (perequazione)
Anche quando la sentenza ha affrontato la questione del meccanismo perequativo la dimensione temporale è stata continuamente richiamata. Ha ammonito il legislatore: non introduca misure di “sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo” e si astenga dal ripetere interventi intesi a paralizzarlo, “perché le pensioni sia pure di maggiore consistenza, potrebbero non essere sufficientemente difese in relazione ai mutamenti del potere d’acquisto della moneta. (sentenza n. 316 del 2010). Ciò anche in considerazione dell’effetto di “trascinamento”, che rende sostanzialmente definitiva anche una perdita temporanea del potere di acquisto del trattamento di pensione, atteso che «[l]e successive rivalutazioni saranno, infatti, calcolate non sul valore reale originario, bensì sull’ultimo importo nominale, che dal mancato adeguamento è già stato intaccato» (sentenza n. 70 del 2015)”.  

L'effetto trascinamento

Una considerazione, quella sull’effetto trascinamento, che chiama a riflettere, in quanto strettamente connessa ai limiti temporali entro i quali vanno contenuti gli interventi in materia previdenziale: massimo 3 anni. 
Consideriamo il differente impatto che hanno sulle pensioni le due misure riduttive di cui parliamo. 
Il contributo di solidarietà consiste nel prelievo di una somma determinata (o determinabile) sulla pensione, per un periodo ben definito (non più di 3 anni). Una volta concluso tale periodo, il trattamento pensionistico ritorna alla sua entità originaria.  
Non è così per il blocco (o la modificazione in peggio) del meccanismo automatico di valorizzazione della pensione. Concluso il periodo di applicazione stabilito dalla legge (anche in questo caso, massimo 3 anni) la valorizzazione automatica riprende sì la sua entità originaria, ma all’importo della pensione manca l’incremento che si sarebbe prodotto se non fosse intervenuto il blocco o la modifica in peggio del meccanismo perequativo. La mancanza di questo incremento produce un effetto trascinamento che depotenzia il potere d'acquisto della pensione oltre il triennio.  E, se gli interventi penalizzanti si ripetono più volte in tempi ravvicinati, le perdite aumentano in progressione geometrica. La rappresentazione grafica delle perdite cumulate, anno su anno, spiega meglio di molte parole l'andamento del fenomeno. 

(Per approfondimenti, v. in particolare: M. Cinelli, “I prelievi sulle «pensioni d’oro»: alla Corte costituzionale la narrazione, alla Corte dei conti l’epilogo? I nodi non sciolti dalla sentenza n. 234/2020”, in Rivista del Diritto della Sicurezza Sociale, 1/2021, pp. 155 – 156, il Mulino e dello stesso autore v. “Prelievi di 'solidarietà' sulle pensioni e principio di ragionevolezza”, in Rivista italiana di diritto del lavoro” 2/2021, pp. 105 -146, Giuffrè).

Un prelievo strisciante e progressivo

Nel commentare la sentenza n. 234/2020, i saggi appena citati introducono a un’attenta analisi sulla sentenza n. 87 del 22 dicembre 2020 della Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale Regionale Umbria. Chiamata a pronunciarsi sul ricorso di un ex dipendente pubblico contro “le decurtazioni derivanti dall’applicazione dell’art. 1, commi da 260 a 268, della legge 145 del 2018” (contributo di solidarietà e modifica peggiorativa del meccanismo di perequazione) la Corte dei Conti umbra non si è limitata a prendere atto di quanto dichiarato con la citata sentenza costituzionale, cioè che è ammissibile il contributo di solidarietà solo se applicato per un periodo che non superi i tre anni. E’ “apparso a quella Corte di merito del tutto coerente con detta esplicita valorizzazione dell’arco temporale di riferimento  assumere che anche la norma di raffreddamento della perequazione automatica debba ritenersi idealmente e rigidamente parametrata al medesimo periodo triennale (alla stessa stregua degli effetti della contribuzione di solidarietà)" (cit. M. Cinelli, Prelievi di 'solidarietà' ecc. cit., pp.126-127).  
In altri termini, se è inammissibile una misura di prelievo, come il contributo di solidarietà, applicata per un periodo superiore a tre anni, perché   in contrasto con la «proiezione triennale della manovra di finanza pubblica», altrettanto inammissibile deve considerarsi un intervento sul meccanismo di perequazione che determina “un prelievo strisciante e progressivo, i cui effetti sono destinati a dilatarsi indefinitivamente e ad accrescersi nel tempo”. (Id. p.119).

Ricalcolare la pensione

“Per tale ragione, decorso il periodo di tre anni, il trattamento pensionistico spettante al ricorrente dovrà essere ricalcolato come se non fosse intervenuta alcuna falcidia dipendente dall’applicazione del contributo di solidarietà, ma anche dal blocco della rivalutazione. In sostanza, decorsi i limiti temporali entro cui l’intervento del Legislatore può essere ritenuto costituzionalmente legittimo e tollerabile, i diritti del pensionato devono ritrovare ri-espansione e la pensione dovrà essere quella di cui il pensionato avrebbe goduto senza i blocchi, le falcidie e le riduzioni di cui è causa. Terminato il periodo di legge la pensione, dunque, dovrà essere ricalcolata dall’INPS in modo da riportare il trattamento alla consistenza che lo stesso avrebbe avuto se le trattenute temporanee non fossero mai state applicate”. (Dalla sentenza n. 87 del 22 dicembre 2020 della Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale Regionale Umbria. Per la lettura integrale, Sentenza Corte dei Conti).

Una sentenza apripista

La Corte dei Conti umbra è stata tra le prime a dare applicazione alla Sentenza Costituzionale n. 234/2020 nel senso sopra descritto: cioè che le misure di prelievo sulle pensioni non possono avere un effetto trascinamento che vada oltre la "proiezione triennale della manovra di finanza pubblica". Allo stato delle nostre informazioni, però, la sentenza di quella Corte sembra sia rimasta isolata. Ciò non toglie che potrebbe, forse, avere funzione di apripista verso nuove valutazioni in possibili futuri contenziosi nella materia fin qui trattata, ma anche per contribuire a disegnare un nuovo meccanismo perequativo (evocato nell’Accordo Governo/Sindacati del 28-settembre-2016, punto 9, purtroppo senza nessun esito finora; oggetto di studio nella dottrina giuridica), nella prospettiva di rinnovamento del sistema previdenziale. Obiettivo della cui esigenza  si è fatta  carico, sia pure per cenni,  la sentenza 234:   “Su un piano più generale  occorre […] evidenziare  […] come il ripetersi delle misure faccia emergere l’esistenza di una debolezza sistemica, difficilmente governabile per il tramite di interventi necessariamente temporanei, per di più operati soltanto sui redditi pensionistici, «ormai consolidati nel loro ammontare, collegati a prestazioni lavorative già rese da cittadini che hanno esaurito la loro vita lavorativa, rispetto ai quali non risulta più possibile neppure ridisegnare sul piano sinallagmatico il rapporto di lavoro»" (Sent,  n. 116/2013).
Prendendo spunto da quest’ultima osservazione, il discorso si amplia fino a coinvolgere i diritti sociali (in primo luogo: salute, istruzione, previdenza), resi sempre più evanescenti a fronte di esigenze di finanza pubblica, nel rispetto di vincoli europei.  
Ma questa è tutta un’altra storia. 

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