L’ossessione del ricalcolo delle pensioni

Lo hanno spiegato gli stessi vertici dell'INPS nell'audizione del 15 marzo 2016 presso la Commissione Lavoro della Camera dei Deputati: "Le pensioni attribuite con il sistema retributivo non si possono ricalcolare".

 

Antonio Dentato

Componente Sezione Pensionati Assidifer - Federmanager
Due recenti iniziative parlamentari hanno riproposto il discorso del ricalcolo con il sistema contributivo delle pensioni attribuite con il sistema retributivo:
  1. La proposta che prevede il ricalcolo con il metodo contributivo dei vitalizi in essere e quelli futuri dei parlamentari e dei consiglieri regionali;
  2. La proposta di modifiche dell’art.38 della Costituzione intesa ad assicurare l’equità intergenerazionale nei trattamenti previdenziali e assistenziali.
Se il ricalcolo fosse stato praticabile, il legislatore non avrebbe fatto ricorso alle tante misure di ripiego  che, di fatto, hanno determinato le decurtazioni  alle pensioni (Vedi tabella riservata agli associati registrati scaricabile dall'articolo "Come ti riduco la pensione"). 
 Le ragioni per cui un tale ricalcolo non è possibile sono state più volte esposte in questa Rivista. Ne facciamo nuovamente cenno, in sintesi, solo per ribadire che, a nostro modesto avviso, la questione dovrebbe essere definitamente chiusa per i motivi che seguono. 

Per motivi giuridici

Cominciamo con la questione del parallelismo con i vitalizi.  La tesi, in base alla quale, per il principio di uguaglianza, il ricalcolo dei vitalizi con il sistema contributivo dovrebbe essere applicato anche alle pensioni attribuite con il sistema retributivo, non regge. A parte i dubbi di costituzionalità che circondano anche il ricalcolo dei vitalizi (ma l’argomento, se trattato, ci porterebbe fuori dall’economia di questo articolo) un richiamo ai principi qui va fatto.  In maniera corretta e non faziosa. A cominciare da una considerazione essenziale: quando si vuole far valere il parallelismo dei vitalizi con le pensioni ordinarie, si dimentica che ci troviamo dinanzi a fattispecie completamente diverse. Esagerarlo, quel parallelismo, significa non tenere conto delle circostanze di fatto e di diritto relative alle due diverse tipologie di prestazioni. Se si va sul piano dei principi, in particolare, significa voler deprimere lo stesso spirito dell’uguaglianza. A esasperare l’applicazione di alcuni principi di diritto si finisce con il commettere le massime ingiustizie. Lo diceva qualcuno che di diritto non solo se ne intendeva, ma che del diritto ne ha costruito gran parte delle fondamenta. 

Per certezza del diritto

E restando ancora sul discorso dei principi, per coinvolgere ambedue le proposte di modifiche dette all’inizio, non va dimenticato quello della certezza del diritto, che investe anche la problematica previdenziale. La Corte Costituzionale ha più volte richiamato il principio dell’affidamento come elemento costitutivo della sicurezza giuridica, “con particolare riguardo alle aspettative del dipendente collocato a riposo”.  Ha precisato che una modifica di segno negativo, anche se diretta ad incidere solo per il futuro nei rapporti di durata (come le pensioni, appunto), lede l’affidamento sorto nel cittadino in ordine alla stabilità dei rapporti stessi. Peraltro il principio dell’affidamento trova larga applicazione nella giurisprudenza comunitaria. Infatti, la Corte di Giustizia europea l’ha costantemente tutelato, sostenendo che esso costituisce corollario essenziale della certezza del diritto. E, in effetti, al di là dei discorsi relativi ai diritti acquisiti, più o meno contestati, è la certezza del diritto la diga contro gli abusi del legislatore. Se si consentisse di scardinarla, chi potrebbe più fidarsi di uno Stato che non mantiene i patti?  In ogni caso è necessario tenere un costante monitoraggio sulla questione, perché dopo le elezioni, che appaiono sempre più vicine, il problema sicuramente sarà nuovamente al centro del dibattito politico. 

Per incostituzionalità

A parte le questioni di principio appena dette e che andranno fatte valere al momento opportuno, vanno ugualmente rintuzzate le tesi di chi propone di “aggiustare” strumenti giuridici ormai fuori uso per fare la cresta alle pensioni in corso. 
A nostro avviso, neppure riesumare il decreto attuativo della legge Dini, il D.lgs. 180/1997, appare fattibile. Il decreto  che disponeva un metodo di ricalcolo forfettario (il c.d. forfettone), partendo dalle retribuzioni percepite negli ultimi 10 anni immediatamente precedenti al 1995, e valutando i contributi versati sulla base delle aliquote contributive allora in vigore. Quella era una misura temporanea e a base volontaristica. Applicarla ora, e con disposizione obbligatoria, appare una misura scorretta sul piano normativo e, quantomeno, frutto di una forzatura ideologica eccessiva. L’operazione, quasi certamente sarebbe censurata dal giudice costituzionale. Perché, ai fini del contradittorio, in eventuali controversie giuridiche fra gli interessati e l’Inps, dovrebbero essere rese disponibili le documentazioni cartacee relative ai versamenti contributivi di quegli anni.  E’ dubbio che i vecchi pensionati abbiano conservato documenti relativi agli emolumenti percepiti 30/40 anni fa. Pertanto, sarebbe difficile, quando non impossibile, far valere in un eventuale confronto con l’Ente erogatore, dati che potrebbero portare ad esiti diversi da quelli prodotti con la procedura del decreto citato.  E, pertanto, nell’applicazione obbligatoria di quel meccanismo, verrebbe meno l’uguaglianza tra le parti in un eventuale vertenza giudiziaria.  Da una parte l’ente previdenziale, con dati teorici, elaborati sulla base di parametri standard, dall’altra gli interessati senza nessuna possibilità di opporre una propria documentazione, altrettanto probante. I principi dell’art 24 e, per relazione, l’art 3 della Costituzione, sarebbero irrimediabilmente violati.

Per motivi etici

Al di là della dimensione dei tagli, sarebbe veramente iniquo introdurre provvedimenti sottrattivi in un periodo della vita del lavoratore, attualmente in pensione, quando questi non è più in grado di applicarsi ad una nuova attività lavorativa (troppo avanti con gli anni) o aderire a forme volontarie di previdenza complementare (collettive o individuali, comunque costose). Se uno avesse avuto conoscenza, anche solo come probabile, di modifiche ex post del suo trattamento pensionistico, avrebbe potuto prendere per tempo altre decisioni e disporre quindi altre provvidenze. L’iniquità è qui di così palmare evidenza che ogni ulteriore commento risulterebbe superfluo.

Per motivi tecnici, concreti

Lo hanno spiegato gli stessi vertici dell’INPS, in un’audizione del 15 marzo 2016 presso la Commissione Lavoro della Camera dei Deputati. (Rif. Comunicato CIDA 15 marzo 2016). Le pensioni attribuite con il sistema retributivo non si possono ricalcolare perché: a) i dati per il ricalcolo – nel settore privato – mancano o sono parziali o sono inutilizzabili per vari motivi: b) i dati per il ricalcolo – nel settore pubblico – sono del tutto assenti, circostanza confermata nella nota metodologica dell’ “Operazione trasparenza” dove è detto che risulta difficile rintracciare la storia contributiva dei trattamenti attribuiti con provvedimenti lontano nel tempo; c) molte pensioni, se ricalcolate con il contributivo, aumenterebbero. Anzi, nel ricalcolo potrebbero verificarsi sorprese proprio a svantaggio dei trattamenti più modesti che i sostenitori della procedura vorrebbero, a loro avviso, tutelare. All’impraticabilità per mancanza dei dati, vanno aggiunti almeno i seguenti corollari che riguardano tempi e costi dell’operazione. Escluso un riesame limitato alle pensioni da un certo livello in su, come qualcuno pretenderebbe, perché si determinerebbe una palese discriminazione fra titolari di prestazioni pensionistiche, censurabile in sede giudiziaria, andrebbe considerato che: a) anche se i dati fossero tutti disponibili, l’operazione coinvolgerebbe circa 15 milioni di trattamenti su 23 circa: b) occorrerebbero  lunghi anni di lavoro; b) con conseguente enorme spesa e,  c) con il seguito di immancabili vertenze lunghe e numerose. 
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