Rivalutazione delle pensioni: gli esclusi

La Legge di Bilancio 2025 discrimina una minoranza di pensionati, escludendoli dalla rivalutazione delle pensioni. Pur generando un risparmio modesto, la misura ha un impatto sociale significativo, in quanto mina la rete di tutela costruita nel tempo per i pensionati ovunque essi risiedano. Sono necessari interventi che si oppongano a disposizioni che non rispettano norme di diritto europeo e trattati internazionali

Antonio Dentato   

Componente Sezione Pensionati Assidifer - Federmanager
Con Decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze del 15 novembre 2024 è stato ripristinato, finalmente, dal 1° gennaio 2025, il meccanismo standard di perequazione automatica delle pensioni. Con profusione di formule, tabelle, esempi, la cronaca spiega che si torna al sistema di rivalutazione a scaglioni: 100% dell’inflazione per le pensioni fino a quattro volte il trattamento minimo (TM), 90% per quelle tra quattro e cinque volte il TM, e 75% per quelle superiori a cinque volte il TM.

Ma il ripristino non è per tutti.  Perché la legge 30 dicembre 2024, n. 207, all’art 1, comma 180, stabilisce che “In via eccezionale, per l'anno 2025, la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici, secondo il meccanismo stabilito dall'articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, non è riconosciuta ai pensionati residenti all'estero, per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori al trattamento minimo INPS”.  Non è notizia giunta all’improvviso. La norma era già scritta. Si legge, identico, nella proposta della Legge di Bilancio 2025 (art.27).

Nella trattazione dell’argomento parleremo non tanto della questione economica, che pure ha il suo rilievo, quanto, piuttosto, dei parametri di riferimento che caratterizzano la norma in questione: tutti di modeste entità. Ed è proprio in ragione di queste dimensioni minimali che ci chiediamo: perché?  Andiamo per ordine.

Racconti e numeri

 Un argomento che non interessa a nessuno. Non trova spazio nel dibattito pubblico. Non in Italia, perché si tratta di pensionati che vivono all’estero: emigranti. Non nei Paesi esteri, perché non sono i loro pensionati: sono stranieri. Una questione lasciata ai margini. Il confronto politico si è svolto essenzialmente nelle commissioni parlamentari, dove, a quanto si apprende, le proposte di emendamenti o soppressione della proposta del Governo sono state semplicemente respinte. Non si ha notizia sulle motivazioni.
Molto più significativo il racconto in cifre.

  • 353.514 gli assegni Inps pagati all’estero, di cui parliamo in questo articolo. Di questi:
    • 292.750 (83%) d’importo fino a 567,94 euro/mese cui è concessa la rivalutazione: 2 euro al mese di aumento.
    • 60.740 (17%) perderanno qualche decina di euro al mese.
  • 1 anno di applicazione di una norma eccezionale (anno 2025)
  • 8,6 milioni (0,0025%) di minore spesa pensionistica per l’anno 2025, rispetto alla spesa annua di circa 350 miliardi.

La presunta “fuga di massa” verso l’estero

E, inoltre, appare utile aggiungere qualche chiarimento sulla diffusa opinione di trasferimenti all’estero per vantaggi fiscali. Le pensioni erogate ai pensionati non residenti in Italia da enti o organizzazioni italiane sono imponibili in Italia. Questo significa che, salvo diverse disposizioni stabilite da specifiche convenzioni bilaterali, tali redditi continuano a essere tassati in Italia. Le pensioni erogate ai residenti all'estero pertanto continuano a subire la trattenuta dell’IRPEF e, in aggiunta, anche le addizionali regionali e comunali con le aliquote della Regione Lazio e del Comune di Roma perché tutte le pensioni estere sono amministrate dalla sede centrale INPS di Roma. Infine, i pensionati che si trasferiscono stabilmente all’estero sono iscritti all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero) e vengono automaticamente esclusi dal sistema sanitario italiano.

Un paradosso

La norma di cui parliamo si inserisce nella scia di numerosi provvedimenti precedenti che, con formulazioni diverse, hanno bloccato o peggiorato il meccanismo di perequazione. Niente di nuovo rispetto ai precedenti provvedimenti. Così sembra, a prima vista. Ma la differenza sta nel fatto che, come detto, questa norma si applica esclusivamente a una ristretta platea di soggetti chiamati, essi soltanto, a contribuire al miglioramento finanziario dello Stato. Considerando il modesto risparmio economico derivante dalla mancata applicazione della perequazione automatica alle pensioni dei residenti all’estero, risulta difficile individuare una correlazione logica tra l’esclusione dal beneficio della valorizzazione dei residenti all’estero e le esigenze di sostegno al bilancio pubblico.  Piuttosto, riteniamo che in questo caso ricorrano elementi di irragionevolezza e arbitrarietà nei termini spiegati dalla giurisprudenza costituzionale quando si esprime a proposito del restringimento della platea di riferimento su cui incidono le misure riduttive dei trattamenti previdenziali.

Al contrario, la reale correlazione che emerge dal provvedimento è nella progressiva erosione del potere d’acquisto delle pensioni dei residenti all’estero. La mancata perequazione avrà un effetto amplificato nel lungo periodo: incidendo negativamente sulla base di calcolo per gli anni futuri, determinerà una crescente disparità tra pensioni formalmente equivalenti. In altri termini, questa disparità si manifesterà nel confronto tra una pensione di pari importo erogata a un residente in Italia e una percepita da un pensionato residente all’estero. Mentre la prima continuerà a beneficiare degli adeguamenti al costo della vita partendo dall’attuale base rivalutata, la seconda, partendo dalla base non rivalutata, subirà una perdita cumulativa che si prolungherà per tutta la durata della vita del pensionato residente all’estero. Una situazione di svantaggio strutturale e permanente. Una disparità di trattamento in casi identici.  Un paradosso.

La discriminazione per causa di residenza

Come dicevamo sopra, la questione più rilevante della questione in esame è la discriminazione a danno di pensionati residenti all’estero. Al riguardo, oltre agli indirizzi della giurisprudenza costituzionale che esclude discriminazioni nelle prestazioni sociali basate sulla residenza, ci sembrano di prima importanza le disposizioni che ricaviamo dal diritto europeo e dai Trattati internazionali.
La Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, all’art.14 (Divieto di discriminazione), stabilisce che “il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella Convenzione stessa deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate […] sull’appartenenza a una minoranza nazionale, [e] ogni altra condizione”.

La giurisprudenza europea ha precisato che “ogni altra condizione” può comprendere il luogo di residenza. Negli stessi termini si esprime l’art.1 del Protocollo Addizionale n. 12 relativa alla Convenzione medesima.  E l’Articolo 7 del Regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 che regola il coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale stabilisce che le prestazioni in denaro previste dalla legislazione di uno o più Stati membri, o dallo stesso regolamento, non possono essere ridotte, modificate, sospese, soppresse o confiscate esclusivamente perché il beneficiario o i suoi familiari risiedono in uno Stato membro diverso da quello dell’ente erogatore.

Discriminazione e accordi bilaterali

La normativa sopra esposta riguarda soprattutto la tutela dei diritti dei pensionati residenti nei Paesi UE. Essa stabilisce in maniera chiara che non sono ammesse discriminazioni tra residenti e non residenti quanto al godimento dei diritti disposte da una legge dello Stato. A sua volta la giurisprudenza europea rammenta che l’articolo 14 della Convenzione, più volte sopra richiamato, non fa altro che completare le clausole normative della Convenzione e dei suoi Protocolli. “Il divieto della discriminazione sancito dall’articolo 14 della Convenzione prevale dunque sul godimento dei diritti e delle libertà che la Convenzione e i suoi Protocolli impongono a ciascuno Stato di garantire, e si applica anche ai diritti addizionali, nella misura in cui questi rientrano nel campo di applicazione generale di uno degli articoli della Convenzione, che lo Stato ha volontariamente deciso di tutelare. […]” (V. Corte Europea dei diritti dell’uomo Ricorso n. 29923/13 e altri).

Ma l’Italia ha stipulato Convenzioni bilaterali di sicurezza sociale anche con numerosi Paesi extracomunitari (vedasi elenco nel portale Inps). E sono Convenzioni che riprendono le protezioni appena elencate valide anche per i pensionati che risiedono in Paesi fuori dall’Europa, come ad esempio  la Convenzione con l’Argentina, dove all’articolo 5 si legge: “…i lavoratori aventi diritto a prestazioni di sicurezza sociale da uno dei due Stati contraenti, le riceveranno integralmente e senza alcuna limitazione o restrizione, ovunque essi risiedano”; come la Convenzione  con il Canada “…le prestazioni acquisite da ogni persona ai sensi della legislazione di una delle parti o in virtù del presente accordo, sono erogabili nel territorio dell’altra parte e non sono soggette ad alcuna riduzione, modifica, sospensione, soppressione o confisca per il solo fatto che il beneficiario risiede nel territorio di questa seconda parte”.

Negli anni si è creata una rete di protezione normativa per lavoratori e pensionati italiani che hanno scelto la residenza all’estero. Purtroppo questo non basta se la politica decide di intervenire sulla materia e modificare o sospendere l’applicazione di norme attuate nel rispetto del diritto europeo, e delle Convenzioni, sempre reciprocamente rispettate dagli Stati firmatari. Per quanto ne sappiamo, la rivalutazione delle pensioni rispetto all’inflazione è attuata in tutti i più avanzati sistemi di previdenza sociale. È per questo che sorprende questa sospensione da parte di un Paese come l’Italia. La questione è destinata, con ogni probabilità, a sfociare in ricorsi giudiziari. 

Conclusione

Le considerazioni esposte mettono in luce l’assenza di valide motivazioni a sostegno di una misura che penalizza in modo così evidente i pensionati residenti all’estero. La rete normativa costruita nel tempo per proteggerli non è riuscita a impedire l’introduzione di una norma che mette in discussione tali tutele. Incide sui diritti sociali di una minoranza che, pur numericamente esigua rispetto all’intera comunità nazionale, non per questo va esclusa dalle dovute protezioni.

Colpisce, nel contesto di cui parliamo, l’assenza di un dibattito pubblico sul tema. Restano aperte molte domande. E non troviamo le risposte.

È qui che le Organizzazioni rappresentative dei lavoratori e dei pensionati assumono un ruolo centrale da giocare nei luoghi preposti alla tutela dei diritti e sui tavoli della politica. Vanno chiarite le ragioni di una norma volta a colpire una minoranza tanto ristretta e fragile per i soggetti cui è diretta e per la dispersione mondiale in cui si trovano. Ed è anche l’occasione per ribadire che le misure adottate in materia previdenziale siano sempre chiaramente definite negli obiettivi e accompagnate da esplicite garanzie, per evitare che interventi eccezionali e temporanei, ripetuti,  si trasformino, poi, in norme ordinarie e permanenti.



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