Italiani all’estero: perché non vogliono rientrare nel Belpaese?
Federmanager ha dato parecchio spazio negli ultimi mesi alla situazione degli italiani all’estero, volto a dare supporto e portare un po' di chiarezza nelle burocratiche e complesse questioni legate al rientro in Italia….
Sara Cattaneo
Global Procurement Manager ABB -Socia ALDAI-Federmanager e componente del Comitato di redazione Dirigenti industria
In collaborazione con Fabio Pansa Cedronio - Consigliere ALDAI-Federmanager e componente del Comitato di redazione Dirigenti Industria
In realtà questo argomento ci ha portato a riflettere e a farci altre domande: siamo sicuri che gli italiani all’estero stiano davvero sognando un rientro nel proprio Paese d’origine? Abbiamo quindi deciso di formulare un semplice questionario e di sottoporlo a un piccolo ma significativo campione di persone per raccogliere informazioni sull’argomento e iniziare quindi a formarci un’opinione solida a riguardo.
Sono stati coinvolti ben 8 manager attualmente impiegati all’estero, tutti accomunati da un profilo e competenze di alto livello ma con background e Paesi di residenza completamente diversi tra loro, e un neolaureato con un percorso di studi/stage quasi totalmente avvenuto all’estero, al fine di coprire con questa ricerca uno spettro di scenari il più ampio possibile.
Qui di seguito vi presento brevemente gli intervistati:
- Valeriano Donzelli - Ungheria, executive supply chain manager con esperienza quasi ventennale nella multinazionale americana General Electric, nonché Inclusion&Diversity leader, laureato in Ingegneria a Brescia.
- Simone Bottin - Svizzera, procurement manager con esperienza più che ventennale in diverse grandi multinazionali come Emerson, General Electric e ABB, laureato in Statistica a Padova;
- Andrea Francescotto - UK, neolaureato in Business&Finance presso la CASS Business School di Londra, alla fine di un percorso di studi avvenuto per gran parte in UK;
- Fabio Distaso - Spagna, executive manager in una corporation finanziaria con quasi 20 anni d’esperienza maturata in grandi aziende come IBM e Accenture, laureato a Milano;
- Giovanni Curtino - Spagna, quality manager presso Worldline con un’esperienza internazionale di circa 10 anni maturata in grandi aziende e in diverse nazioni europee;
- Edoardo Rubbiani - Emirati Arabi, senior engineering and innovation director presso Procter & Gamble, all’estero da oltre 22 anni, ingegnere laureato in Italia;
- Antonello Aquino - UK, executive manager presso Moody’s Investors Service con esperienza quasi ventennale a Londra, una laurea ottenuta presso l'Università Bocconi di Milano e un MBA presso HEC-Paris e LBS-Londra.
- Mario Aquino - Singapore, CEO di FutureLabsVentures, con esperienza maturata in grandi aziende con ruoli di rilievo tra cui Managing Partner di McKinsey Ventures Asia-Pacific, laureato alla Bocconi di Milano e con un MBA presso la ChicagoBooth, esperienza internazionale di oltre 25 anni trascorsi tra Europa/USA/Asia.
- Niccolò Starace - Francia, Presidente e AD Lindt & Sprüngli, con ventennale esperienza maturata in diverse aziende tra Gran Bretagna, Germania, Ucraina e Russia.
I risultati dell’intervista
I nostri intervistati hanno dichiarato di aver lasciato l’Italia principalmente per poter avere nuove esperienze, sia professionali che, più in generale, “di vita”, per poter allargare gli orizzonti e anche per cogliere quelle opportunità professionali che nel nostro Paese parevano non arrivare o per lo meno non essere egualmente attrattive. Molto interessanti i dati emersi: permettetemi di utilizzare qualche grafico per riassumere le risposte ad alcune delle domande.
Condizioni economiche
Sulla base dei commenti ricevuti, si evince molto chiaramente che la percezione di chi ha lasciato l’Italia è che rimanendo nel proprio Paese non avrebbe avuto le stesse opportunità di carriera, né soprattutto lo stesso trattamento economico. È interessante notare come questo commento non si applichi solo a chi oggi risiede nei Paesi considerati “ricchi” come UK, Svizzera o Emirati Arabi (che presentano un’innegabile media salariale più alta), ma anche agli altri che a fronte di un gap retributivo forse più basso possono però trarre vantaggio da una pressione fiscale (e un costo della vita) notevolmente inferiore a quella italiana.
La maggior parte di loro, infatti, ha citato proprio le condizioni economiche tra i principali motivi per cui non rientrerebbe, e di conseguenza tra i principali incentivi che l’Italia dovrebbe usare per attrarre i propri talenti. C’è chi ha esplicitamente citato come l’attuale normativa che prevede agevolazioni fiscali (temporanee) per il “rientro dei cervelli” non sia ritenuta sufficiente a bilanciare la disparità salariale.
Modello italiano “vecchio”, chiuso e poco aperto alla meritocrazia
Altra riflessione importante riguarda il fatto che la maggior parte degli intervistati lamenti un modello italiano poco aperto alla formazione di esperienze/skills trasversali, alla crescita e alla formazione delle risorse e, aspetto ancor più grave, alla meritocrazia.
Si investe poco sulle PERSONE.
Sostanzialmente emerge dalle interviste come il tessuto italiano appaia spesso (soprattutto nelle piccole-medie imprese) poco “moderno” e poco orientato a una valutazione basata sul raggiungimento di obiettivi, caratterizzato da crescite professionali lente, da un’eccessiva burocrazia e una scarsa maturità digitale (cosa che forse finalmente ora sta un po' cambiando…), lasciando poco spazio alle nuove proposte e alle persone che in qualche modo vorrebbero portare innovazione e crescere nell’organizzazione aziendale.
Il contesto professionale italiano inoltre appare chiuso, difficilmente incline a strategie e approcci globali; ovvero per potersi creare un’esperienza di carattere più internazionale, necessaria per aprire la mente e gli orizzonti di un leader, sembra sia quasi obbligato un trasferimento più o meno prolungato all’estero.
Contesto socio-politico
In ultima analisi, emerge una critica mossa da parecchi intervistati, volta al contesto socio-culturale e politico: viene infatti percepita un’eccessiva instabilità politica italiana, che non consente un livello di confidenza adeguato per fare programmi a medio-lungo termine, ma soprattutto non c’è fiducia nella classe politica in generale, nel fatto che metta il bene dei cittadini e dei lavoratori al centro dei propri obiettivi.
Una classe politica più coesa, infatti, potrebbe forse focalizzarsi meglio sul problema dell’eccessiva pressione fiscale, sia per le aziende che per i lavoratori, imputata da molti come uno degli scogli più grossi che l’Italia deve superare per essere più attrattiva, da un lato verso i propri talenti e dall’altro verso possibili investitori e aziende multinazionali.
Aspetti positivi dell’Italia
Pur essendo emersi molti aspetti indubbiamente non lusinghieri verso il nostro Belpaese, è altresì vero che tra le righe, se si interpretano bene i dati e i commenti raccolti, in realtà si percepisce un’apertura… guardiamo per esempio, tramite il grafico, come cambierebbe la volontà di valutare un rientro in Italia (per lo meno parziale) se ci fosse la possibilità di un utilizzo più “massiccio” dello Smart Working…
Questo dato trova conferma nel fatto che diversi intervistati riconoscano all’Italia una migliore qualità della vita.
È inoltre convinzione comune a quasi tutti che le competenze italiane siano di grande valore e infatti ben considerate anche all’estero: se da un lato quindi la formazione scolastica sembra spesso un po' troppo accademica e poco “pratica”, dall’altro i professionisti italiani uniscono a un livello medio più alto di cultura generale una spiccata propensione a pensare “fuori dagli schemi”, sempre volti alla ricerca di soluzioni anche in condizioni non-standard, una grande creatività e spirito d’iniziativa e un maggior livello di determinazione e “impegno”.
Riflessioni …
Mi permetto a questo punto di condividere anche alcune riflessioni personali, basate sulla mia personale esperienza di italiana all’estero, durata per 8 anni. Devo ammettere di rispecchiarmi nella maggior parte dei commenti raccolti. La mia scelta di andare all’estero infatti è avvenuta dopo un’attenta valutazione di altre opportunità logisticamente più vicine, in cui però percepivo spesso una realtà più chiusa, e ancora un po’ prevenuta verso quella che all’epoca era una “giovane ingegnere donna”.
La stessa percezione non c’è stata quando mi sono interfacciata con contesti più internazionali e più “moderni”, che si sono infatti poi rivelati aperti allo sviluppo delle risorse e alle nuove proposte di chiunque avesse la voglia, la capacità e il coraggio di farne, confermando anche il fatto che gli italiani all’estero godano spesso di una stima maggiore di quella in cui noi stessi crediamo.
Non è assolutamente mia intenzione generalizzare; spero solo che questa mia piccola “provocazione” possa unirsi ai preziosi feedback dei nostri intervistati, incentivare qualche riflessione in merito… e magari portare qualche buona idea a qualcuno, atta ad aiutare l’Italia a trattenere i propri talenti e a permettere alle persone di poter crescere professionalmente senza doversi necessariamente allontanare!
Interpretando ancora una volta il grafico inerente alla volontà di rientrare, infatti, io credo che nella maggior parte dei casi (me compresa mentre ero all’estero) gli italiani sentano la mancanza di quella qualità della vita (o semplicemente “atmosfera italiana”) che spesso resta ineguagliabile, e che mai come in quest’estate, fatta di trionfi sportivi e di vacanze italiane, abbiamo tanto allegramente riassaporato un po'!
01 ottobre 2021