Manzoni: Dal giorno della processione la furia del contagio andò sempre crescendo

L’argomento che sta girando nei media e nel dibattito politico è quello di riaprire o no le Chiese alla presenza fisica dei fedeli durante le messe. La processione a Milano durante la peste narrata dal Manzoni può stimolare utili riflessioni.

Tanzio da Varallo, “La processione del Santo Chiodo”, Cellio, Parrocchiale di San Lorenzo, 1629/1630. olio su tela.

Antonio Dentato 

Componente Sezione Pensionati Assidifer-Federmanager
Come si è ben capito, l’argomento è diventato oggetto di lotta politica in Italia; lotta che si riallaccia a quella più vasta di fazioni religiose che dall’oltreoceano additano il Papa, nientemeno, come causa della diffusione del morbo, per aver offeso Dio, avendo espresso apertura verso quelli che per molto tempo la Chiesa tradizionale aveva estromessi. È il ritorno del Medioevo, mi sembra!

I media stamattina hanno riferito una presa di posizione del Papa che nell’omelia svolta nella quotidiana messa mattutina a Santa Marta, ha detto che si deve "obbedienza" alle disposizioni emanate per contrastare la pandemia. E ha ampliato il discorso alla tecnica di propalare notizie false e calunnie per cercare di far fuori qualcuno, se non fisicamente, certamente farlo fuori dal ruolo svolto (religioso, politico, amministrativo che sia).

Il riferimento, per quanto velato, credo che sia abbastanza evidente.
La preoccupazione di evitare che il morbo riprenda a causa di partecipazione a pratiche collettive che potrebbero far riprendere l’espansione del morbo mi ha rinviato, per analogia, all’altra testa pensante della Chiesa di cui parla Manzoni quando riferisce del comportamento del Cardinale Federico Borromeo dinanzi alla peste di Milano (1629 -1633).

Spero che qualche breve sintesi e commento dell’opera Manzoniana possa stimolare utili riflessioni.

Una testa pensante durante la peste di Milano (1629 -1633)

Il continuo aumento dei decessi e l’infuriare del morbo spinsero gli amministratori cittadini (Decurioni) a chiedere al Cardinale Federigo Borromeo “che si facesse una processione solenne, portando per la città il corpo di san Carlo. Il buon prelato rifiutò, per molte ragioni. Gli dispiaceva quella fiducia in un mezzo arbitrario, e temeva che, se l’effetto non avesse corrisposto, come pure temeva, la fiducia si cambiasse in iscandolo. Temeva di più, che, se pur c’era di questi untori, la processione fosse un’occasion troppo comoda al delitto: se non ce n’era, il radunarsi tanta gente non poteva che spander sempre più il contagio: pericolo ben più reale. Ché il sospetto sopito dell’unzioni s’era intanto ridestato, più generale e più furioso di prima." (V. " I Promessi Sposi”, cap. XXXII)

Il Cardinale resistette qualche tempo, dunque; cercò di convincere amministratori e popolo... ma poi dovette cedere. Continua il Manzoni:“.. i decurioni, non disanimati dal rifiuto del savio prelato, andavan replicando le loro istanze, che il voto pubblico secondava rumorosamente. Federigo resistette ancor qualche tempo, cercò di convincerli; questo è quello che poté il senno d’un uomo, contro la forza de’ tempi, e l’insistenza di molti. In quello stato d’opinioni, con l’idea del pericolo, confusa com’era allora, contrastata, ben lontana dall’evidenza che ci si trova ora, non è difficile a capire come le sue buone ragioni potessero, anche nella sua mente, esser soggiogate dalle cattive degli altri. ….. Al replicar dell’istanze, cedette egli dunque, acconsentì che si facesse la processione, acconsentì di più al desiderio, alla premura generale, che la cassa dov’eran rinchiuse le reliquie di san Carlo, rimanesse dopo esposta, per otto giorni, sull’altar maggiore del duomo.” 

Tre giorni furono spesi in preparativi. La processione venne indetta per l’11 giugno, partendo dal Duomo cittadino. Attraversò tutti i quartieri della città, radunando una folla immensa. 

La conseguenza, come aveva previsto il Cardinale Borromeo, fu che “Da quel giorno, la furia del contagio andò sempre crescendo: in poco tempo, non ci fu quasi più casa che non fosse toccata: in poco tempo la popolazione del lazzeretto, … montò da duemila a dodici mila: più tardi, al dir di quasi tutti, arrivò fino a sedici mila. … dopo la peste, si trovò la popolazion di Milano ridotta a poco più di sessantaquattro mila anime, e che prima passava le dugento cinquanta mila”.

In verità dai documenti che fanno riferimento a quell’epoca non sono estraibili dati attendibili, perché proprio per i mesi di punta della crisi, nel “1630 furono registrate solo le morti avvenute nella città, ossia nelle strade, nelle abitazioni private e in altri luoghi, ma non quelle dei lazzaretti e degli altri luoghi di cura o decorso della malattia”. (V. La peste manzoniana del 1630 nel “Liber Mortuorum del Magistrato di Sanità della città e ducato di Milano, Archivio di Stato di Milano, Atti di Governo, Popolazione, parte antica, bb. 118-119”).
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