Trasformare la longevità in benessere individuale e sociale
Nelle società del passato erano molto pochi coloro che avevano la fortuna di vivere a lungo. Ai 15 anni arrivava meno della metà dei nati. Tra chi raggiungeva tale traguardo, solo una minoranza riusciva poi a compiere incolume tutto il percorso dell’età adulta.
Pochi quindi diventavano anziani e vi arrivavano in condizioni di salute precarie. Gli elevati rischi a tutte le età comprimevano verso il basso la durata media di vita, che non andava molto oltre i 30 anni. Chi superava la fase infantile poteva comunque ragionevolmente sperare di arrivare ai 60-65 anni. Gli over 70 erano come gli ultracentenari di oggi. Queste condizioni sono rimaste per millenni sostanzialmente immutate. Un bambino che guardava il nonno sessantenne vedeva rispecchiato quello che anche egli sarebbe diventato alla stessa età, nella fortunata ipotesi di arrivarci.
Arrivare a 60 anni all’epoca di Napoleone non era molto diverso di arrivare a tale età all’epoca di Cesare.
Questo era ancora vero al momento dell’Unità d’Italia. In meno di due secoli tale scenario è però completamente cambiato per gli effetti combinati della “Transizione demografica” e della rivoluzione
industriale. La probabilità, per un bambino che nasce oggi, di interrompere precocemente il proprio percorso di vita in età infantile o adulta si è praticamente annullata. Negli ultimi decenni del XX secolo i guadagni di sopravvivenza si sono via via sempre più estesi oltre l’età convenzionalmente adulta. Tanto che se ancora all’inizio del XX secolo, meno di una persona su dieci arrivava a superare gli 80 anni, all’inizio del secolo in corso tale mèta è diventata, per la prima volta nella storia dell’umanità, un’impresa alla portata dei più (realizzata da più della
metà degli uomini e da oltre due terzi delle donne). Continuando con questi ritmi si può prevedere che per la prima volta nella storia dell’umanità sia apparsa sulla terra la generazione che vedrà la maggior parte dei suoi membri superare i 100 anni (per approfondimenti su questi cambiamenti si rimanda al libro “Demografia” di A. Rosina e A. De Rose, Egea 2014).
Stiamo quindi vivendo un passaggio unico nella storia dell’umanità verso una società matura, in cui quelli che in passato venivano considerati anziani (gli over 65) saranno sistematicamente più dei giovani (gli under 25). L’Italia è uno dei Paesi che per primi vedranno realizzarsi, già nei prossimi anni, tale sorpasso. Mentre infatti gli under 25, anche come conseguenza della denatalità, si sono attestati su una numerosità attorno ai 14 milioni e continueranno nei prossimi decenni a rimanere sotto tale livello, gli over 65 hanno superato recentemente i 13 milioni e cresceranno fin a superare i 20 milioni entro il 2050.
Ma anche all’interno dell’età attiva si sta producendo un cambiamento strutturale di grande rilievo.
Nei prossimi anni vedremo ridursi in maniera consistente la popolazione nella fascia più centrale, quella che attualmente presenta maggiore occupabilità e produttività (in età 35-44 anni). Per converso, invece, aumenterà in maniera rilevante la fascia 55-64 anni che è quella che attualmente riusciamo a valorizzare meno all’interno del mercato del lavoro e che diventa quindi la sfida principale da porsi. Particolarmente interessante è il confronto tra Italia e Germania.
Tali due Paesi presentano una struttura demografica simile, ma evidenziano attualmente una capacità di risposta ben diversa. La Germania riesce meglio ad usare le potenzialità in tutte le fasi della
vita, compresa l‘età più matura, mentre l’Italia ci riesce molto meno. Il tasso di attività dopo i 50 anni è molto più basso in Italia rispetto alla media europea, mentre è sensibilmente più elevato in Germania.
Qui sta riassunta, con tutta la sua più forte evidenza, la portata della sfida che abbiamo davanti. Nei prossimi anni saremo uno dei Paesi che maggiormente vedranno crescere la partecipazione potenziale
dei senior al mercato del lavoro.
Passeremo da un lavoratore over 55 su sette ad oltre uno su quattro entro il 2030. Un cambiamento enorme, un impatto molto forte destinato a prodursi in breve tempo.
Nel 2015 la forza lavoro nella fascia 55-64 anni era composta da oltre 3,5 milioni di persone. Anche solo pensando che il tasso di attività in quella fascia rimanga costante al valore attuale, per la sola conseguenza dell’invecchiamento della popolazione avremo comunque un milione di over 55 in più nel mercato del lavoro. Se poi riuscissimo a raggiungere nel 2030 il tasso attuale di occupazione tedesco, in tale fascia di età arriveremmo a oltre 3 milioni di over 55 in più nel nostro sistema produttivo. Verosimilmente il valore che possiamo raggiungere è intermedio tra questi due estremi e le stime, in base anche all’estrapolazione delle dinamiche più recenti, fanno pensare che comunque da qui al 2030 avremo almeno 2,5 milioni di over 55 aggiuntivi al lavoro.
Se riusciremo a valorizzarli al meglio l’Italia dimostrerà di essere un Paese non solo in crescita, ma in grado di porsi come riferimento nella costruzione di una nuova società che trasforma in vera opportunità il vivere a lungo e bene. Se invece non ci riusciremo subiremo le conseguenze di una popolazione che invecchia in una economia in declino e con costi sociali in aumento.
Migliorare le condizioni per una lunga vita attiva ha ricadute positive per le persone, per le imprese e il sistema paese.
Le aziende, in particolare, che prima inizieranno ad agire positivamente in questa direzione, si troveranno nei prossimi anni con un vantaggio competitivo sulle altre. C’è una forte consapevolezza che la produttività di un’azienda e il suo successo, prima ancora che nell’uso delle nuove tecnologie, dipenderanno dalla capacità di lungimirante gestione della propria forza lavoro.
L’Italia nel suo complesso può vincere questa sfida se favorisce il cambiamento culturale che porta dal pensare all’invecchiamento come problema (come alibi per non cambiare le cose e rassegnarsi al declino), a cogliere la longevità come opportunità per costruire una società migliore (come ben documentato nel portale www.osservatoriosenior.it). Una società e una economia più mature nel produrre benessere, in cui si possano cogliere i frutti positivi di tutte le stagioni della vita.
Sta a noi decidere se questo passaggio epocale vogliamo viverlo da vincitori o da perdenti.
Arrivare a 60 anni all’epoca di Napoleone non era molto diverso di arrivare a tale età all’epoca di Cesare.
Questo era ancora vero al momento dell’Unità d’Italia. In meno di due secoli tale scenario è però completamente cambiato per gli effetti combinati della “Transizione demografica” e della rivoluzione
industriale. La probabilità, per un bambino che nasce oggi, di interrompere precocemente il proprio percorso di vita in età infantile o adulta si è praticamente annullata. Negli ultimi decenni del XX secolo i guadagni di sopravvivenza si sono via via sempre più estesi oltre l’età convenzionalmente adulta. Tanto che se ancora all’inizio del XX secolo, meno di una persona su dieci arrivava a superare gli 80 anni, all’inizio del secolo in corso tale mèta è diventata, per la prima volta nella storia dell’umanità, un’impresa alla portata dei più (realizzata da più della
metà degli uomini e da oltre due terzi delle donne). Continuando con questi ritmi si può prevedere che per la prima volta nella storia dell’umanità sia apparsa sulla terra la generazione che vedrà la maggior parte dei suoi membri superare i 100 anni (per approfondimenti su questi cambiamenti si rimanda al libro “Demografia” di A. Rosina e A. De Rose, Egea 2014).
Stiamo quindi vivendo un passaggio unico nella storia dell’umanità verso una società matura, in cui quelli che in passato venivano considerati anziani (gli over 65) saranno sistematicamente più dei giovani (gli under 25). L’Italia è uno dei Paesi che per primi vedranno realizzarsi, già nei prossimi anni, tale sorpasso. Mentre infatti gli under 25, anche come conseguenza della denatalità, si sono attestati su una numerosità attorno ai 14 milioni e continueranno nei prossimi decenni a rimanere sotto tale livello, gli over 65 hanno superato recentemente i 13 milioni e cresceranno fin a superare i 20 milioni entro il 2050.
Ma anche all’interno dell’età attiva si sta producendo un cambiamento strutturale di grande rilievo.
Nei prossimi anni vedremo ridursi in maniera consistente la popolazione nella fascia più centrale, quella che attualmente presenta maggiore occupabilità e produttività (in età 35-44 anni). Per converso, invece, aumenterà in maniera rilevante la fascia 55-64 anni che è quella che attualmente riusciamo a valorizzare meno all’interno del mercato del lavoro e che diventa quindi la sfida principale da porsi. Particolarmente interessante è il confronto tra Italia e Germania.
Tali due Paesi presentano una struttura demografica simile, ma evidenziano attualmente una capacità di risposta ben diversa. La Germania riesce meglio ad usare le potenzialità in tutte le fasi della
vita, compresa l‘età più matura, mentre l’Italia ci riesce molto meno. Il tasso di attività dopo i 50 anni è molto più basso in Italia rispetto alla media europea, mentre è sensibilmente più elevato in Germania.
Qui sta riassunta, con tutta la sua più forte evidenza, la portata della sfida che abbiamo davanti. Nei prossimi anni saremo uno dei Paesi che maggiormente vedranno crescere la partecipazione potenziale
dei senior al mercato del lavoro.
Passeremo da un lavoratore over 55 su sette ad oltre uno su quattro entro il 2030. Un cambiamento enorme, un impatto molto forte destinato a prodursi in breve tempo.
Nel 2015 la forza lavoro nella fascia 55-64 anni era composta da oltre 3,5 milioni di persone. Anche solo pensando che il tasso di attività in quella fascia rimanga costante al valore attuale, per la sola conseguenza dell’invecchiamento della popolazione avremo comunque un milione di over 55 in più nel mercato del lavoro. Se poi riuscissimo a raggiungere nel 2030 il tasso attuale di occupazione tedesco, in tale fascia di età arriveremmo a oltre 3 milioni di over 55 in più nel nostro sistema produttivo. Verosimilmente il valore che possiamo raggiungere è intermedio tra questi due estremi e le stime, in base anche all’estrapolazione delle dinamiche più recenti, fanno pensare che comunque da qui al 2030 avremo almeno 2,5 milioni di over 55 aggiuntivi al lavoro.
Se riusciremo a valorizzarli al meglio l’Italia dimostrerà di essere un Paese non solo in crescita, ma in grado di porsi come riferimento nella costruzione di una nuova società che trasforma in vera opportunità il vivere a lungo e bene. Se invece non ci riusciremo subiremo le conseguenze di una popolazione che invecchia in una economia in declino e con costi sociali in aumento.
Migliorare le condizioni per una lunga vita attiva ha ricadute positive per le persone, per le imprese e il sistema paese.
Le aziende, in particolare, che prima inizieranno ad agire positivamente in questa direzione, si troveranno nei prossimi anni con un vantaggio competitivo sulle altre. C’è una forte consapevolezza che la produttività di un’azienda e il suo successo, prima ancora che nell’uso delle nuove tecnologie, dipenderanno dalla capacità di lungimirante gestione della propria forza lavoro.
L’Italia nel suo complesso può vincere questa sfida se favorisce il cambiamento culturale che porta dal pensare all’invecchiamento come problema (come alibi per non cambiare le cose e rassegnarsi al declino), a cogliere la longevità come opportunità per costruire una società migliore (come ben documentato nel portale www.osservatoriosenior.it). Una società e una economia più mature nel produrre benessere, in cui si possano cogliere i frutti positivi di tutte le stagioni della vita.
Sta a noi decidere se questo passaggio epocale vogliamo viverlo da vincitori o da perdenti.
Il prof. Alessandro Rosina incontrerà i soci ALDAI interessati ad approfondire l’argomento mercoledì 21 settembre 2016 dalle ore 14,30 alle ore 17,00.
L'incontro si terra in ALDAI, Sala Viscontea, via Larga 31, Milano.
L'incontro si terra in ALDAI, Sala Viscontea, via Larga 31, Milano.