Comitato Pensionati ALDAI-Federmanager 16 Settembre 2025

La riunione del Comitato Pensionati ALDAI-Federmanager del 16 settembre 2025 ha messo in luce, un quadro economico segnato da crescita debole, alto debito e una manovra di bilancio che rischia di pesare ancora una volta sul ceto medio, mentre restano in ombra le misure strutturali per lavoro e previdenza. Nel dibattito, i partecipanti hanno denunciato l’erosione costante dei trattamenti e la scarsa attenzione della politica, chiedendo ad Aldai e a Federmanager più forza nel proselitismo, un’azione preventiva rispetto alle scelte legislative e la trasformazione della denuncia in proposta concreta

 

Mino Schianchi

Presidente Comitato Nazionale di Coordinamento Gruppi Seniores Federmanager e Presidente Comitato Pensionati ALDAI-Federmanager
Il Comitato Pensionati ALDAI-Federmanager, si è riunito a Milano il 16 settembre 2025. Di seguito la mia ampia relazione introduttiva alla manovra finanziari che si sta predisponendo per il 2026
Proiezioni Economiche Nazionali
Le proiezioni economiche per l'Italia nel biennio 2025-2026 dipingono un quadro di "bassa crescita". Secondo le stime dell'Istat, il PIL italiano è atteso in crescita dello 0,6% nel 2025 e dello 0,8% nel 2026, una revisione al ribasso rispetto alle proiezioni iniziali. Il governo e Confindustria stimano un rapporto debito/PIL al 137,6% nel 2026. La fragilità del quadro economico, aggravata dall'incertezza dovuta alle tensioni internazionali e all'aumento dei dazi, costituisce una minaccia significativa per l’ economia italiana.

Il Governo ha presentato la manovra come un atto di politica fiscale prudente e responsabile e si è concentrato sulla narrazione di un bilancio che restituisce potere d'acquisto alle famiglie e alle imprese, garantendo al contempo il rientro dal deficit.
Il Finanziamento della manovra
Il finanziamento delle misure previste si basa su un buon andamento delle entrate fiscali e contributive che solo nei primi sei mesi, secondo la Ragioneria dello Stato, vedono una crescita di quasi 34 miliardi, 12,5 dei quali per versamenti contributivi

Una mano in termini di coperture potrebbe arrivare dal calo dei rendimenti dei titoli Stato e dalla conseguente minore spesa per interessi: stando alle simulazioni di associazioni di settore il tesoretto accumulabile in due anni, 2025-2026, sarebbe di circa 13 miliardi di euro.

Da una parte c’è la necessità di tenuta dei conti pubblici, con l’idea di anticipare la discesa sotto il 3% di deficit già nel 2026 uscendo dalla procedura di infrazione Ue. Dall’altra ci sono gli obiettivi di riduzione dell’Irpef dal 35 al 33% anche per i redditi medi fino a 60mila euro e la sterilizzazione degli ulteriori tre mesi di estensione dell’età per andare in pensione.

I conti sulle risorse che è possibile mettere sul tavolo per la manovra, si faranno a fine settembre, (il disegno di legge di bilancio va presentato alle Camere entro il 20 ottobre). È già chiaro che serviranno molti fondi. A partire da Irpef e pensioni. L’attenzione al “ceto medio”, che fa parte degli impegni ribaditi dalla premier Giorgia Meloni al Meeting di Rimini viene considerato ora una priorità anche dalla Lega, che però vuole affiancarci una nuova rottamazione delle cartelle esattoriali, “la quinquies”.

La lista di potenziali interventi in materia di lavoro e pensioni è lunga: rafforzare gli strumenti a favore delle uscite dei lavoratori con mansioni usuranti, rivalutare Opzione donna, rinnovare il bonus Maroni-Giorgetti, utilizzare il Tfr come rendita per anticipare il pensionamento a 64 anni, non far scattare l’innalzamento dell’età a 67 e 3 mesi previsto dalla legge Fornero a partire dal 2027. Sono inoltre in programma la proroga della tassazione agevolata sui premi di produttività al 5% e l'estensione del bonus per le madri lavoratrici, con l'obiettivo di renderlo strutturale e allargarlo anche alle lavoratrici autonome.
Riforme Fiscali e Tributarie
La misura di punta della manovra è la riduzione dell'aliquota IRPEF dal 35% al 33% per i redditi fino a 60.000 euro. Questo intervento, il cui costo stimato si aggira intorno ai 4 miliardi di euro, è promosso dal Governo come una "priorità" per alleggerire il carico fiscale del ceto medio. Il risparmio annuale per i contribuenti interessati è stimato in 440 euro per i redditi fino a 50.000 euro e fino a 1.440 euro per quelli tra 50.000 e 60.000 euro. In parallelo, un'altra misura di rilievo è la "rottamazione quinquies" delle cartelle esattoriali, una priorità per la Lega. La proposta mira a definire i debiti fiscali maturati tra il 2000 e il 2023, offrendo un "saldo e stralcio" per i piccoli importi e un piano di rateizzazione decennale per i debiti più consistenti. La contemporanea attuazione di un taglio fiscale e di una sanatoria crea un complesso, e potenzialmente contraddittorio, segnale fiscale. Sebbene il taglio dell'IRPEF sia un chiaro sollievo per i contribuenti regolari, la sanatoria rischia di minare la percezione di equità del sistema fiscale.

Il taglio dell’IRPEF non è condiviso da Confindustria che chiede, al suo posto, al Governo un piano per incentivare la produttività per stimolare la crescita, mettendo a punto un piano industriale straordinario da 8 miliardi di euro e intervenendo sul costo dell’energia con nuove misure di separazione fra il costo dell’energia e quello del gas.
Per rafforzare i redditi ci sono sul tappeto anche diverse proposte che riguardano i salari. Una è la flat tax su alcune voci retributive specifiche (festivi, straordinari, premi di produttività, fringe benefit), rilanciata da Forza Italia, che avrebbero l’effetto di aumentare gli importi in busta paga. Un’altra strada per irrobustire i salari è sostenere i rinnovi contrattuali: qui è la Lega a mettere il proprio paletto, ipotizzando meccanismi di adeguamento degli aumenti salariali all’inflazione dopo un certo periodo di vacanza contrattuale, e incentivi come la detassazione degli incrementi contrattati negozialmente.
Politiche Previdenziali 
La sostenibilità del sistema pensionistico dipende dalla crescita economica e dall’occupazione, due variabili che necessitano di interventi strutturali per garantire pensioni adeguate alle generazioni future.

Le proiezioni sul PIL indicano che, nel prossimo decennio, la crescita è destinata a perdere vigore per una serie di fattori: si indebolirà la spinta impressa dagli investimenti del PNRR, si ridurrà la popolazione in età da lavoro, aumenterà la spesa per le pensioni. Su un orizzonte più lungo, la sfida previdenziale sarà anche legata all’adeguatezza delle prestazioni, perché cresceranno le spese legate all’invecchiamento della popolazione.

Secondo l’UPB (Ufficio Parlamentare di Bilancio) per affrontare la sfida demografica bisogna favorire una più ampia partecipazione al mercato del lavoro così da incrementare le risorse economiche attraverso il versamento dei contributi. Nel 2024 gli inattivi erano oltre 12 milioni di persone, due terzi donne. Gli interventi devono quindi riguardare: 

  1. l’istruzione e la formazione on the job,  

  2. il rafforzamento delle politiche di conciliazione vita-lavoro attraverso il potenziamento dei servizi pubblici per la cura di bambini e anziani così da favorire l’occupazione femminile, 

  3. l’attrazione di lavoratori qualificati dall’estero,  

  4. lo stop alla fuga dei cervelli. 

Avendo sempre come base di partenza la necessità di tenere sotto controllo i conti e la sostenibilità complessiva del sistema, l’idea fondamentalmente del governo è quella di rafforzare la previdenza complementare dirottando una quota del Tfr sui fondi pensione oppure addirittura rendere obbligatoria per i giovani l’iscrizione ai fondi pensione.  Con il passaggio al sistema contributivo pieno, gli assegni pensionistici rischiano infatti di diventare troppo magri e i fondi pensione sembrano offrire la vera alternativa al sistema pubblico.
Perequazione pensioni
L'inflazione acquisita per il 2025 è dell'1,7%. Su questa base per la rivalutazione delle pensioni nel 2026 potrebbero essere necessari circa cinque miliardi, al lordo del ritorno fiscale che gli aumenti genererebbero in maniera automatica. 

Il meccanismo rimarrebbe applicato per scaglioni di reddito, come previsto dalla normativa vigente:

  • fino a 4 volte il minimo INPS, rivalutazione piena al 100% (1,7%);  

  • tra 4 e 5 volte il minimo, rivalutazione al 90% (1,53%); 

  • oltre 5 volte il minimo, rivalutazione al 75% (1,275%). 

Secondo i dati riferiti al 2023 i beneficiari di pensione che hanno assegni inferiori a 2.500 euro lordi (il limite per le quattro volte il minimo, fino al quale si ha diritto alla rivalutazione piena, è 2.394 euro) sono il 78,9% del totale. Questo dato spiega la scarsa mobilitazione dei pensionati per i tagli alla perequazione.
Blocco dell’età di pensionamento
Alla spesa per la rivalutazione nella messa a punto della legge di bilancio sempre in tema previdenziale si aggiungerebbe la ricerca delle risorse necessari per bloccare l'aumento di tre mesi dei requisiti per l'età pensionabile e per la pensione anticipata che dovrebbero scattare nel 2027.

Il sistema pensionistico in vigore ha garantito nel corso degli anni una certa sostenibilità della spesa previdenziale, adeguando l’età effettiva di pensionamento all’evoluzione demografica. Il rischio è che il governo, per evitare tensioni sociali e tutelare chi andrà in pensione nei prossimi anni, scelga una soluzione “facile”, bloccando per tutti il meccanismo automatico di adeguamento dell’età pensionabile alla speranza di vita. Il blocco dell’aumento dell’età pensionabile di tre mesi, che scatterebbe automaticamente dal 1° gennaio 2027 per l’incremento della speranza di vita potrebbe costare più di un miliardo all’anno alle casse dello Stato. Si riproporrebbe così il copione del passato: proteggere chi è vicino alla pensione scaricando l’onere sulle generazioni più giovani. 

Nel caso in cui il Governo decidesse di non intervenire, dal 2027 per la pensione di vecchiaia saranno necessari 67 anni e tre mesi, in presenza di almeno 20 anni di assicurazione, sempreché risulti accreditata contribuzione prima del 1996 (sistema misto).

Nel caso di lavoratori privi di anzianità al 31 dicembre 1995, la pensione di vecchiaia nel sistema contributivo si conseguirà ai requisiti citati, a condizione che il primo importo non risulti inferiore all’assegno sociale (per il 2025, pari a 538,69 euro). Nel caso in cui la persona non dovesse raggiungere i 20 anni oppure non dovesse perfezionare l’importo soglia, la pensione spetterà al raggiungimento dei 71 anni e tre mesi di età con almeno cinque anni di contribuzione effettiva.

Senza il blocco per la pensione anticipata, saranno richiesti 42 anni e un mese per le donne e 43 anni e un mese per gli uomini. A tali requisiti, andrà aggiunta la finestra mobile che, per la generalità dei lavoratori, è pari a ulteriori tre mesi.

Rinunciare al meccanismo di adeguamento significa trasmettere un segnale di debolezza verso i mercati finanziari e la Commissione Ue. Il tema della sostenibilità delle pensioni e dell’equilibrio tra generazioni va affrontato evitando scorciatoie come la sospensione dell’adeguamento automatico. Va anche detto che l’UPB (Ufficio Parlamentare di Bilancio) non è favorevole al “congelamento” per via delle possibili ricadute negative sui costi. Per contenere i costi dello stop all’aumento dei tre mesi si ragiona su mini-finestre (è da decidere se 1, 2 o più mesi) per ottenere la pensione, come del resto accade già per Quota 103.
Pensione anticipata con il TFR al posto di Quota 103
L’idea di Claudio Durigon, sostenuta dalla Lega, prevede la possibilità di andare in pensione anticipata a 64 anni con almeno 25 anni di contributi, estendendo il meccanismo oggi riservato ai soli lavoratori nel sistema contributivo puro (dal 1996) anche a chi rientra nel sistema misto. L’uscita sarebbe volontaria e interamente ricalcolata con il metodo contributivo. 

I lavoratori potrebbero scegliere di trasformare il TFR in una rendita integrativa da far confluire all’INPS, così da raggiungere il requisito minimo di assegno (il cosiddetto importo soglia), pari a tre volte l’assegno sociale (circa 1.616 euro mensili). Nell’ottica del Governo, questa riforma renderebbe superflua la proroga di Quota 103, considerata meno sostenibile della nuova proposta.

Durissima la replica della Cgil. Lara Ghiglione, segretaria confederale, ha definito “profondamente sbagliata” l’ipotesi di utilizzare il TFR per finanziare la pensione anticipata: il TFR è salario differito, non un fondo da usare a piacimento. Così si farebbe pagare ai lavoratori il costo della flessibilità in uscita. Da un lato il Governo cerca di introdurre nuovi strumenti di flessibilità limitando l’impatto sulla spesa pubblica; dall’altro i sindacati denunciano un progressivo irrigidimento delle regole che rischia di escludere chi ha percorsi lavorativi fragili.

Nella sostanza, la modalità di anticipare il pensionamento già esiste: è La Rendita Integrativa Temporanea Anticipata (RITA) è una prestazione dei fondi di pensione che permette agli iscritti di ricevere una parte o l'intero capitale accumulato sotto forma di rate periodiche, invece che in un'unica soluzione, per integrare il reddito in attesa della pensione di vecchiaia, (RITA può essere ottenuta, attualmente, dai 62 anni di età). Perché è più conveniente della proposta Durigon?  RITA può essere un finanziamento ponte in attesa della pensione la quale continuerebbe ad essere calcolata a 67 anni e non a 64 con li ricalcolo contributivo, come previsto dalla proposta Durigon. Considerando il posticipo formale del pensionamento a 67 anni e tutti gli effetti nel calcolo dell’importo della pensione, la soluzione risulta essere più conveniente della pensione anticipata a 64 anni includendo la quota di TFR.

Con RITA anche chi ha un reddito limitato può smettere di lavorare a 64 anni, in quanto, nelle forme di pensione complementare confluiscono non solo il TFR, ma anche i contributi personali e quelli aziendali (infatti molti contratti prevedono una compartecipazione a carico del datore di lavoro).  Inoltre RITA beneficia di una tassazione più favorevole rispetto alla pensione.
Conclusioni
La Legge di Bilancio per il 2026 rappresenta un delicato equilibrio tra le ambizioni politiche di riduzione del carico fiscale e i vincoli imposti dal nuovo quadro finanziario europeo.

I tagli del personale scolastico e l'insufficiente finanziamento di settori critici come la sanità pubblica rischiano di danneggiare il capitale umano e l'infrastruttura sociale del Paese, che sono elementi essenziali per la produttività a lungo termine. Se da un lato il Governo offre un sollievo fiscale immediato, dall'altro non sembra aver presentato una strategia chiara per guidare l'economia italiana dopo l'esaurimento dei fondi di stimolo temporanei come il PNRR.

Il dibattito
Numerosi e incisivi gli interventi che si sono succeduti all’introduzione.

Tra i temi di dibattito più ricorrenti vi è stato quello dell’utilità dell’invio del documento di rivendicazioni predisposto da Federmanager e inoltrato ai parlamentari tramite i singoli associati. Alcuni hanno segnalato difficoltà tecniche e necessità di maggiori informazioni per facilitarne l’invio, ma è stato sottolineato il valore politico e simbolico dell’iniziativa, che può contribuire a sensibilizzare la politica sulla gravità e penalizzazione dei provvedimenti a danno dei Dirigenti e sulle loro rivendicazioni. E’ stato richiesto di conoscere, alla conclusione dell’iniziativa, quanti avranno aderito alla stessa.
Altro punto rilevante è stata l’urgenza di rafforzare la partecipazione associativa. Pur con numeri significativi di iscritti, la presenza effettiva alle iniziative resta limitata. È emersa la convinzione che non si possa delegare a pochi la difesa dei diritti di tutti: ogni pensionato deve sentirsi parte attiva di una battaglia comune. L’associazione, in questo senso, deve investire maggiormente nel proselitismo, per consolidare l’organizzazione e ampliare la base di partecipazione.
Molti interventi hanno criticato il nuovo meccanismo Irpef che il Governo intende introdurre, limitando i benefici fiscali ai redditi fino a 60mila euro. Una scelta che lascia fuori gran parte dei Dirigenti pensionati, escludendoli da qualunque miglioramento fiscale. Anche qui si conferma una logica politica che penalizza sistematicamente chi ha versato contributi regolari e pagato le imposte per decenni, mentre si favorisce chi vive di assistenza o alcune categorie produttive alle quali si applicano più vantaggiosi regimi fiscali come la flat-tax.

Il dibattito ha più volte richiamato la lunga sequenza di provvedimenti che, negli ultimi venticinque anni, hanno eroso progressivamente le pensioni del ceto medio. Secondo i dati ufficiali, le disposizioni che hanno bloccato o peggiorato la perequazione automatica produrranno, da qui al 2034, un risparmio per lo Stato pari a circa 88 miliardi di euro: l’equivalente di tre manovre finanziarie interamente scaricate sulle spalle dei pensionati. Dal 2000 a oggi, infatti, si contano 14 anni di blocchi o riduzioni della perequazione, di cui 13 concentrati negli ultimi 17 anni. Un provvedimento di blocco riguarda i pensionati residenti all’estero e continua a penalizzarli in modo discriminatorio, anche dopo il ripristino del meccanismo standard per gli altri. Non si tratta, dunque, di episodi isolati, ma di una sequenza che ha consolidato perdite permanenti: una volta ridotta, la pensione non torna più al livello originario.

In questo contesto, è stato ricordato come la Corte Costituzionale abbia più volte richiamato il legislatore al rispetto dei principi di proporzionalità, temporaneità e ragionevolezza. Tuttavia, misure presentate come “temporanee” sono state trasformate in regole strutturali, riducendo l’adeguamento all’inflazione a terreno di compressione continua.

Ricorsi giudiziari e azione politica
Uno strumento imprescindibile restano i ricorsi dinanzi ai tribunali ordinari e alle sezioni regionali della Corte dei Conti. È però un dato di fatto che, nella maggioranza dei casi, tali ricorsi vengono respinti con motivazioni che finiscono per confluire in un unico obiettivo: sostenere, in maniera più o meno esplicita, le scelte dei governi volte a contenere la spesa pensionistica. A farne le spese, purtroppo, sono sempre gli stessi “noti”: i pensionati del ceto medio, considerati bersaglio facile e categoria sacrificabile.

Questa realtà conferma un punto essenziale: la via giudiziaria, pur necessaria, non può essere l’unica strada. Non basta affidarsi esclusivamente alla speranza di un cambiamento di rotta da parte della giurisprudenza, che talvolta si mostra sensibile ai richiami della Costituzione, ma altre volte si piega a logiche di finanza pubblica. È dunque imprescindibile che l’azione legale si accompagni a un impegno politico e sindacale costante, capace di intervenire prima che i provvedimenti riduttivi vengano approvati e trasformati in legge.

Il dibattito ha evidenziato con chiarezza questo punto: occorre che le nostre Organizzazioni assumano un ruolo proattivo, promuovendo iniziative di pressione e confronto nelle sedi istituzionali, affinché il Governo rinunci a perseverare in misure depressive sulle pensioni. Non possiamo limitarci a reagire ex post, ma dobbiamo agire in via preventiva, contribuendo a orientare le scelte legislative prima che diventino definitive.

Pertanto, accanto ai ricorsi giudiziari già avviati come  la questione di costituzionalità, riguardante il meccanismo di calcolo della perequazione, posta dal Tribunale di Trento all’esame della Corte Costituzionale la quale si pronuncerà in merito nel prossimo mese di novembre, è stato sottolineato che spetta agli organi della nostra Associazione un compito fondamentale: trasformare la difesa giuridica in un’azione politica e sociale più ampia, capace di dare continuità, visibilità e forza alle nostre rivendicazioni.

Proposte operative
In questa prospettiva, sono state avanzate diverse proposte operative:

  • Organizzare conferenze stampa dei vertici dell’Organizzazione mirate a sensibilizzare l’opinione pubblica; 

  • Pubblicare articoli e interventi su testate autorevoli, a firma dei vertici associativi; 

  • Promuovere incontri territoriali con i soci per alimentare partecipazione e consapevolezza; 

  • Creare un Portale nazionale dei Gruppi Seniores come strumento di trasparenza, informazione (come Dirigenti Senior) e coinvolgimento; 

  • Sostenere attivamente i ricorsi legali, anche con iniziative pubbliche, come segno di resistenza civile; 

  • Convergere con altre Organizzazioni sindacali e sociali su obiettivi comuni, rafforzando la solidarietà intergenerazionale. 

  • Richiedere maggior impegno per combattere l’evasione fiscale e per eliminare la flat-tax, bocciata anche dal Fondo Monetario Internazionale.

Le considerazioni emerse dal comitato
La linea emersa dal dibattito è chiara: difendere le pensioni del ceto medio significa difendere un patto sociale basato su lavoro, contributi e imposte regolarmente versate. È su questo terreno che i Comitati (locali e di coordinamento nazionale) sono chiamati a costruire massa critica e forza collettiva, trasformando la denuncia in proposta e la protesta in mobilitazione.

Solo così sarà possibile contrastare con efficacia l’erosione dei nostri diritti e restituire alla comunità dei pensionati quella centralità che merita nella vita sociale, economica e politica del Paese.

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