Le previsioni nel DFP 2025

Inquietanti tendenze della spesa per le pensioni

Franco Torelli Presidente Federmanager Trento Neo componente del Comitato Nazionale Pensionati

Franco Torelli Presidente Federmanager Trento Neo componente del Comitato Nazionale Pensionati

Di Franco Torelli

Presidente Federmanager Trento e Neo componente del Comitato Nazionale Pensionati
Lo scorso 9 aprile il Governo ha approvato il Documento di Finanza Pubblica 2025 redatto dal Ministero dell’Economia e Finanza e contiene una corposa relazione sui progressi compiuti nel 2024 e un’analisi sulle tendenze della Finanza Pubblica. 

Tra i progressi del 2024 viene citato il calo del deficit che dovrebbe scendere al 3,4% del PIL nel 2025, dopo essere stato al 7,2% nel 2023: ottimo, ma la nostra sensazione è che sia più il risultato di una combinazione di maggiori entrate fiscali e tagli alla spesa pubblica piuttosto che un risultato in termini di investimenti strutturali. Vengono poi citati incentivi fiscali per chi resta al lavoro oltre l’età pensionabile e viene consentito di restare nel pubblico impiego fino all’età di vecchiaia: secondo noi è un vantaggio relativo, non vale per tutti coloro che devono proseguire nella vita lavorativa non per scelta ma per necessità. Inoltre il DFP spesso promuove la previdenza integrativa come una logica e inevitabile alternativa al progressivo impoverimento della previdenza pubblica, che avrà un tasso di sostituzione sempre minore e minor mantenimento del potere d’acquisto: ad esempio per il 2025 è prevista una rivalutazione delle pensioni pari allo 0,8% con un’inflazione stimata almeno del doppio! In effetti i tassi di partecipazione alla previdenza complementare crescono sempre più: a fine 2023 le iscritte e gli iscritti ai fondi pensione italiani erano 9.428.621, il 36,9% della forza lavoro, in costante crescita dalla fine degli anni Novanta, quando erano circa 3 milioni. 

La partecipazione cresce con l’età, è più alta tra gli uomini e nelle regioni del Nord Italia: questo fa capire che siano i lavoratori più forti a iscriversi, mentre chi ha redditi bassi o discontinui non può pagarsi una pensione integrativa privata. 

Secondo noi per i redditi più instabili e per il lavoro atipico bisognerà assolutamente pensare ad incentivi finanziari o fiscali dedicati. Invece tra le tendenze illustrate dal DFP quella più impressionante è la crescita del rapporto tra spesa per pensioni e PIL: ha segnato un picco nel 2019 per Quota 100, un picco nel 2020 per l’emergenza sanitaria ma tende ad accelerare fino a raggiungere un massimo nel 2040. Tale dinamica – viene spiegato – è dovuta all’incremento del rapporto fra numero di pensioni e numero di lavoratori occupati indotto sia dal calo demografico e sia dall’ingresso in quiescenza delle generazioni del baby boom.
La strada da seguire sarebbe chiarissima: incentivare e aiutare la natalità, accrescere la partecipazione femminile al mercato del lavoro, attrarre immigrati regolari e ridurre l’emigrazione dei nostri giovani. Eppure, il Governo sembra privilegiare altre impostazioni, ad esempio ampliando la spese per l’assistenza: il 40% dei pensionati italiani è totalmente o parzialmente assistito e questa spesa è cresciuta di anno in anno complici prestazioni che si sono sommate e sedimentate nella legislazione, senza che nessuno abbia mai avuto il coraggio di farne il riordino. Solo un monitoraggio efficace tra i diversi enti erogatori (Stato, Regioni, Comuni, comunità) e con mezzi più efficaci nel controllo – ancor oggi non esiste una banca dati centralizzata dell’assistenza – potrebbero permettere di contenere i costi, aiutando con servizi e strumenti adeguati solo quanti hanno davvero bisogno.