Non tagliare le pensioni, colpire l’evasione fiscale

Molti non pagano le tasse, frodano sui contributi previdenziali, e quelli che pagano sono costretti a pagare sempre di più. In particolare, lavoratori e pensionati. Pagano di più, sempre gli stessi.

Antonio Dentato 

Componente Sezione Pensionati Assidifer-Federmanager

Partiamo dal commento del Presidente della CIDA, Mario Mantovani, sull’analisi delle dichiarazioni dei redditi ai fini IRPEF e delle imposte dirette curata, con la partecipazione di CIDA medesima, dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali (presentazione al CNEL 18 settembre 2019). Per limitarci agli aspetti più pertinenti alla materia previdenziale, ci pare importante riprendere le parole di Mantovani: “il 12% dei contribuenti italiani versa quasi il 58% dell’Irpef nazionale: in quella percentuale vi sono dirigenti, professionisti, manager privati e pubblici, in servizio e in pensione, circa 2 milioni di lavoratori preparati e qualificati che hanno sempre fatto il loro dovere di contribuenti, ma sui quali si accanisce una campagna mediatica che li dipinge come dei privilegiati e sui quali si concentrano sempre nuovi interventi legislativi di riduzione del reddito. È il caso delle pensioni di importo medio-alto, con il mancato adeguamento all’inflazione e il cosiddetto contributo di solidarietà, ma anche di proposte che puntano a ridurre deduzioni e detrazioni fiscali per i percettori di redditi medi". Parole che devono far riflettere.
Seguiamo il commento: “Le spese sociali, in particolare quella sanitaria, vanno a finire solo sulle spalle di chi le tasse le ha sempre pagate”. E qui il discorso s’intreccia con il Rapporto di “Itinerari” (cit.). Riprende il riferimento ai politici che continuano ad insistere nel caricare di tasse i soggetti che più di tutti sostengono l’economia. E, se sono pensionati, odiosamente vengono additati come titolari di pensioni “d’oro”, aizzando contro di essi “il rancore e la rabbia dei votanti che prendono pensioni modeste”. Vale la pena tenere presente, però, che nel dibattito manca qualsiasi riferimento a un fatto astutamente trascurato: “oltre la metà dei pensionati - precisa il Rapporto - prenderà pure pensioni basse ma non ha mai versato un euro, quindi è stata mantenuta per tutta la propria vita. Ma dire così non porta voti!”. Sempre attingendo dal “Rapporto”, va detto anche che, dei 16 milioni di pensionati, ben 8 milioni ricevono pensioni integrate, parzialmente o totalmente a carico della fiscalità generale. Quindi non pagano un soldo d’Irpef. E, tanto per completare il quadro, la mazzata fiscale si abbatte sui pensionati con redditi superiori a 35mila euro (7,56% dei cittadini), che si pagano ampiamente la spesa sanitaria (spesa sanitaria pro-capite annua pari a circa 1.880 euro). Aspetto, questo, che merita tenere sempre in dovuta evidenza. Perché i cittadini che pagano sono sempre di meno, ma pagano sempre di più (c. comunicato CIDA, 27 settembre 2019).

L’ingiustizia fiscale

Lo abbiamo detto anche in altri precedenti articoli: non si possono combattere disuguaglianze e ingiustizie sociali adottando sistemi d’ingiustizia fiscale! (v. in questa Rivista: “Pensioni: oltre i tagli e il conguaglio” maggio 2019). Come accade non adeguando le pensioni al costo della vita o taglieggiandone l’importo lordo, con misure che impropriamente, nella pubblicistica, continuano ad essere propagandate come “contributi di solidarietà”. Definizione ingannevole. Perché, alla resa dei conti, non sono altro che imposte aggiuntive all’Irpef. Insomma, una doppia (a volte anche tripla) imposizione sul reddito pensionistico.  La serialità di questi provvedimenti, che si replicano ad ogni nuova legislatura, e la discriminazione che li accompagna (solo a carico di alcuni, peraltro minoranza sociale) ci fa sorgere molti dubbi sulla loro conformità ai principi costituzionali. Argomento, questo, sul quale si cimenteranno, certamente, gli esperti giuristi, per valutare eventuali ricorsi dinanzi alla Consulta. Quali che siano i risultati delle azioni giudiziarie, appare chiaro che le continue sottrazioni di reddito ai pensionati non ha risolto i problemi della finanza pubblica. Perché l’insufficienza delle risorse non può essere colmata attingendo sempre allo stesso bancomat dei pensionati. Ma occorre che la politica destini la sua attenzione a quella parte di cittadini che se ne ridono del precetto costituzionale. Quelli che, frodando, non concorrono al mantenimento delle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Quelli che praticano la deprecata attitudine di sfuggire all’obbligo fiscale o anche di rincorrere a sotterfugi per ridurne l’importo. Nel confronto internazionale risulta che questa è una pratica piuttosto diffusa ed è estremamente elevata in Italia, più che negli altri Paesi.  In qualche studio si legge che l’evasione fiscale totale italiana ammonterebbe addirittura al 17,4% del nostro PIL. Molto più alta di quella degli altri Paesi europei. E’ su questo aspetto, dunque, che la politica dovrebbe concentrarsi, piuttosto che continuare a ricercare coperture finanziarie con continue incursioni sui redditi dei pensionati.

Economia sommersa ed evasione fiscale

Ai fini di questo articolo, abbiamo escluso i dati relativi alle componenti dell’economia illegale: traffico d’armi, droga, prostituzione, ecc. Facciamo riferimento, invece, soltanto alla parte di sommerso economico: attività economiche legali che sfuggono al fisco: vendite e prestazioni senza fattura fiscale, vendita al dettaglio senza scontrino, lavoro dipendente non registrato, c.d. "lavoro nero", ecc. 
Esaminiamo i dati. I più recenti e affidabili sono nel Rapporto stilato nel 2018 dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (Mef): Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva, anno 2018, con gli “Aggiornamenti per gli anni 2011-2016 a seguito della revisione dei conti nazionali apportata dall’ISTAT". Con riferimento a questa componente, il Rapporto procede mediante stima del tax gap.  Procede, cioè, alla valutazione stimata della differenza tra l’imposta dovuta e quella effettivamente versata. Questa stima dell’economia non osservata (ripetiamo: esclusa quella illegale), sia pure indicativa, trattandosi di valutazioni non perfette, rende un quadro che si avvicina ai numeri reali del fenomeno. Il conteggio che emerge dal Rapporto (dati 2016) dice che l’evasione fiscale e contributiva è stata quantificata in poco più di 107,5 miliardi di euro. In aumento dello 0,7 per cento rispetto al 2015. L’evasione più elevata riguarda l’Iva, che tra il 2011 e il 2016, secondo le valutazioni del Mef, raggiunge annualmente circa 35,5 miliardi di euro. E subito dopo (media del periodo 2011-2016) per 33,3 miliardi di euro all’anno si trova l’elusione dell’Irpef relativa al lavoro autonomo o d’impresa. E quindi: l’Ires (8 miliardi), l’Irap (6,5 miliardi), l’Imu (5,2 miliardi), l’Irpef relativa al lavoro dipendente (5 miliardi). E, infine, mancano all’appello le entrate contributive a carico del datore di lavoro per 8,6 miliardi di euro annui. (L’elenco è incompleto in quanto le cifre esposte sono limitate alle voci con importi più rilevanti e sono arrotondate; per dettagli v. figura n.1).

La fiscalità premiale

Mentre scriviamo questo articolo, le informazioni relative alla legge di bilancio 2020 non sono ancora definitive. Per ora, siamo alla discussione sulla “Nota d'aggiornamento al Def” (Documento di Economia e Finanza).  Poi dovrà pronunciarsi il Parlamento. Se le parole approderanno su disposizioni di leggi, sembra che la “Manovra” del nuovo Governo voglia puntare soprattutto sul problema dell'evasione fiscale. La parola chiave è “tracciabilità” (bancomat, carte di credito, lotteria scontrini, ecc.). La legge di bilancio 2020 sembra sia orientata verso una politica che potremmo definire "politica premiale/incentivante", perché conterrebbe una componente partecipativa dei cittadini: più t’impegni nel pagare le tasse e più ne trai vantaggio. 
L’obiettivo sarebbe quello di recuperare risorse significative per finanziare gli impegni che il nuovo governo sta assumendo dinanzi al Paese. Tutto questo dovrebbe accompagnare il rafforzamento anche degli strumenti tradizionali di dissuasione dell’evasione fiscale e contributiva (controlli, sanzioni, ecc.). C’è, purtroppo, un grosso limite a questi interventi: anche gli evasori sono elettori. E ci sia consentito il sospetto che nessuna forza politica sia disponibile a rischiare di perdere consensi con misure drastiche in materia, come si dovrebbe. 

Un storia raccontata con i numeri

L’evasione delle imposte più importanti, sia pure limitando l’analisi a pochi anni più recenti, è come se si fosse stabilizzata. Ma non è una notizia rassicurante: per la dimensione su cui si attesta, ma soprattutto perché a guardarne l’andamento (provando anche a partire da qualche anno più indietro), si osserva che il fenomeno è altalenante con tendenza all’aumento. Come una mostruosità che cresce. Avida, ingurgita ogni margine di recupero. Per qualcuna delle sue componenti l’indice dell’evasione avanza con progressione enorme. Vedere la Fig.n.2.  E se è vero che si può “tradurre qualsiasi informazione in un numero” (Cfr. A. Baricco. The Game, p.23, Einaudi, 2018), è anche vero che i numeri, ben studiati, specie se espongono fenomeni in serie, forniscono informazioni importanti. Anzi, riescono a raccontare una storia.  Una storia fatta di numeri. E quella che leggiamo nel grafico non è proprio esaltante. La politica, se solo ci si soffermasse a leggerla, dovrebbe porsi molti interrogativi in relazione alle responsabilità che porta (come vi siete permessi!).  E, di conseguenza, dovrebbe rispondere con interventi che colpiscano in maniera determinate la mala pianta dell’evasione fiscale e contributiva. Insomma inventarsi qualcosa che riesca ad ribaltare definitivamente la tendenza. Si tratterebbe, per tutte le forze in campo, di liberarsi dall’affanno delle cicliche elezioni e pensare al bene collettivo. Almeno una volta. Si tratterebbe non solo di intervenire con misure forti contro i grandi evasori (un élite implacabile che riesce a sfuggire a ogni regola di buon comportamento civile), con provvedimenti più incisivi di quelli adottati finora, ma anche di combattere, insieme, il vizio, tutto nostrano, di “dichiarare il meno possibile per beneficiare di una numerosissima serie di agevolazioni e benefici collegati al reddito” (V. CIDA, cit.). Non è difficile. Ci vorrebbe solo un po’ di coraggio!
Vogliamo, intanto, manifestare la speranza che almeno uno spruzzo innovativo in materia di lotta all’evasione emerga nella legge di bilancio 2020.  Che i diversi meccanismi d’incentivazione della moneta elettronica, degli scontrini, dell’estensione della fattura elettronica, possano compensare, pur nei limiti in cui questa manovra s’iscrive, l’iniquità fiscale alla quale continuiamo ad essere esposti: molti non pagano e quelli che pagano sono costretti a pagare di più. In particolare, lavoratori e pensionati.
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