Facciamo chiarezza e separiamo le pensioni dall’assistenza

L’andamento storico e il trend in crescita della spesa assistenziale pregiudicano la stabilità del sistema pensionistico, aumentano il debito pubblico e mettono in discussione la stato di diritto.

Antonio Dentato

Componente Sezione Pensionati Assidifer - Federmanager
Le serie storiche sono importanti. Non vanno lette come una sequela di numeri aridi e senza vita. Piuttosto sono l’espressione in numeri di mutamenti sociali e quindi del Paese. Specialmente se si leggono nella sequenza di altri eventi. Bisogna scavarvi dentro. E rivelano informazioni che alla prima non sono del tutto evidenti. Così sono da leggere quelle delle pensioni, dal punto di vista quantitativo e finanziario. Emerge dalle serie storiche ISTAT sulle previdenza e assistenza sociale il grande sforzo volto ad assicurarne la stabilità nel quadro complessivo del sistema previdenziale. Stabilità, garantita, peraltro, dal controllo sia delle uscite sia delle entrate e nello specifico quelle contributive sulle quali le Riforme hanno agito ripetutamente (1). Sforzo finanziario e riforme, dunque, che hanno orientato il sistema, passo dopo passo, verso l’allargamento dell’assistenza sociale, interpretando così il programma solidale della nostra Costituzione. Cogliamo l’occasione per ricordare il 70° anniversario della sua entrata in vigore: 1 gennaio 1948.

Metodologia

Abbiamo cercato di accompagnare questo articolo con qualche tabella e alcune figure, perché riteniamo che le rappresentazioni grafiche dicano molto di più delle parole. E offrano al lettore anche elementi per eventuali ulteriori valutazioni. Richiamiamo l’attenzione sulle figure costruite su numeri indici. Questi esprimono rapporti statistici elementari in grado di mettere a confronto due o più grandezze non omogenee in diverse situazioni di luogo o di tempo. Rapporti statistici dunque, da leggersi (su questo si raccomanda attenzione) come andamento dei rispettivi tassi di crescita, non come superamento di una grandezza rispetto ad un'altra (il che sarebbe esercizio scorretto). Nella nostra esposizione perciò li abbiamo utilizzati per confrontare, nel quadro delle rispettive dimensioni numeriche, l’andamento delle prestazioni su cui maggiormente concentreremo la nostra attenzione: le prestazioni assistenziali e quelle pensionistiche vere e proprie. Vale a dire, per intenderci, quelle che derivano da contributi previdenziali e imposte pagate, secondo le norme vigenti negli anni di riferimento.

Le prestazioni pensionistiche

Alla comprensione dell’evoluzione in numero e spesa delle pensioni è utile tenere presente le tipologie sotto cui sia l’Inps che l’Istat le raggruppano. Noi seguiremo, in special modo, l’aggregazione Istat, al fine di avvalerci anche delle relative elaborazioni e analisi. Vedi Tab. n.1. Questa riporta: le pensioni di invalidità, vecchiaia, superstiti con l’acronimo IVS (così nel seguito del presente articolo); le pensioni indennitarie (raggruppano le rendite per infortuni sul lavoro e per malattie professionali). (Avvertenza: l’analisi non prende in conto le pensioni indennitarie, per le ragioni dette in nota (2)); le pensioni assistenziali (raggruppano invalidità civile, pensioni sociali, pensioni di guerra). 

Il quadro generale

Dal 1975 al 2015 il numero delle pensioni è passato da poco più di 16 milioni a 23,1 milioni. Il trend è stato di crescita pressoché costante fino al 2009, anno dopo il quale il numero delle pensioni ha iniziato a diminuire. Nel complesso, nel 2015, sono state erogate 741 mila pensioni in meno che nel 2009 (-3,1%) (3). Nel complesso, la serie dei dati fornisce notizie importanti e anche buone. Dice che dagli anni ‘80 la politica ha impresso un progressivo sviluppo delle prestazioni assistenziali. (La maggiore spesa era stata avviata già negli anni precedenti) e che dall’inizio degli anni 2000 ha dato un nuovo vigoroso impulso all’allargamento dell’area medesima (Fig. n.1). E sarà a partire dagli anni 2000 che, nel corso di questo articolo, concentreremo la nostra attenzione. Partendo dai dati relativi agli anni passati e guardando più in particolare agli anni recenti, possiamo convenire che il nostro sistema previdenziale ha svolto con efficacia il ruolo equitativo istituzionalmente assegnato ai sistemi di welfare (4). È un giudizio complessivo che valorizza l’ampiezza cui è pervenuta la protezione sociale. Ma le buone notizie finiscono qui, alla valutazione generale. Perché sotto altri profili l’operazione condotta presenta, a nostro avviso, criticità evidenti.
La prima. L’operazione è stata caratterizzata da un approccio strategico non produttivo degli effetti attesi. La redistribuzione di ingenti risorse con frequenti trasferimento di danaro da redditi più alti a quelli più modesti non ha determinato miglioramenti significativi nella vita dei beneficiari. È stato dimostrato infatti che questo avviene solo se ai miglioramenti economici si accompagnano servizi pubblici facilmente accessibili e infrastrutture di grande impatto sulla vita collettiva (istruzione, abitazioni, ospedali, comunicazioni, trasporti, sviluppo programmato del territorio, ecc.). L’OCSE ha fornito studi apprezzabili al riguardo, informando che il “reddito virtuale” generato dai servizi pubblici riduce in media del 20% l’ineguaglianza dei redditi nelle nazioni aderenti (5). L’argomento è qui appena accennato non potendo essere trattato, come è evidente, nello spazio di un articolo. Ma è materia ampiamente dibattuta nella dottrina economica, cui si rinvia (6)
La seconda. L’operazione è stata condotta sotto il segno di una palese discriminazione. È su questa parte che ci intratterremo più a lungo nel seguito. 

Un sistema iniquo

Dalla serie storica dell’Istat relativa agli anni considerati risulta evidente come la spesa per le pensioni assistenziali abbia avuto una progressiva accelerazione e come la spesa per le pensioni IVS si sia caratterizzata per un crescente rallentamento (Fig.n.2). Un fatto da apprezzare positivamente, questo, se l’operazione di sostegno all’area di assistenza fosse stata accompagnata, a livello nazionale, oltre che da servizi e infrastrutture come detto, anche dalla contemporanea sostanziosa partecipazione di redditi equivalenti, secondo i principi costituzionali (art. 53 Cost.). Purtroppo non dice questo l’andamento dei dati relativi alle risorse utilizzate per sostenere la spesa delle pensioni. Al contrario, fornisce indizi per dire che il reperimento delle risorse ha avuto come campo di raccolta soprattutto il sistema pensionistico stesso. E che i prelievi sono stati eseguiti su una platea molto ristretta di pensionati. Come vedremo successivamente.

La leva fiscale nella distribuzione dei redditi

Quelli che, lato spesa, sono solo indizi diventano prove lato imposte. Ci avvaliamo, per spiegare, della serie storica prodotta dal Ministero dell’Economia e finanza (MEF) per quanto riguarda la ripartizione percentuale dell’ imposta sui redditi delle persone fisiche (IRPEF) per le principali fonti di reddito (Fig. n.3) (7). (Ad evitare erronee interpretazioni, chiariamo che il confronto qui riguarda solo la ripartizione dell’l’Irpef) (8). Osserviamo che il maggior tributo lo pagano i redditi da lavoro e da pensione. Molto meno (meno del 6%) i redditi da lavoro autonomo. E ancor meno quelli d’impresa, di partecipazione e degli altri redditi. E, visto il ruolo marginale che, nella ripartizione Irpef, giuocano questi ultimi, abbiamo proceduto all’indicizzazione dei soli redditi da attività lavorative (lavoro dipendente, pensione, lavoro autonomo). Focus su questi.
Si nota allora come la mano pesante del fisco abbia aggredito soprattutto le pensioni (Fig.n.4). E per dare un’idea di che cosa stiamo parlando in cifre assolute, diciamo che i pensionati hanno pagato d’imposte, negli anni più recenti: circa 45,9Mld nel 2012, 43Mld nel 2013, 57 Mld nel 2014 (9). Cifre crescenti. Che vanno completate con quanto dice il Quarto Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano. Questo segnala che, nel 2015, i pensionati hanno pagato 58,581 miliardi di Irpef (il 35% del totale Italia) (10). Continuando si legge che gran parte dei pensionati assistiti non ha pagato i contributi sociali nei 65 anni di vita attiva e quindi neppure l’Irpef; tra questi, in base ai dati fin qui esaminati, una buona parte sono ex lavoratori autonomi o operanti in agricoltura (operai a 51 o 101 giornate l’anno). E qui appare utile anche un’ulteriore postilla tolta dall’analisi delle dichiarazioni Irpef e Irap di Itinerari Previdenziali (11). Riportiamo: solo il 14,60% degli autonomi (797mila) paga imposte sufficienti a finanziarsi la sanità, mentre il restante 85,4% (non considerando i quasi 2 milioni che non risultano al fisco), è a carico di altri lavoratori. Il totale IRPEF pagata da questi lavoratori è pari a 9,6 miliardi, cioè il 5,7% del totale del gettito IRPEF del 2014. Un po’ di più nel 2015. Anche per i pensionati il 10,26% dei contribuenti –spiega ancora il Rapporto - paga il 46,81% di tutta l’Irpef a carico dei pensionati.

L’altra mano del legislatore

Mentre parliamo di fisco sulle pensioni, non possiamo lasciare senza richiamo gli strumenti aggiuntivi che il legislatore ha utilizzato per prendere soldi sempre dalle stesse tasche. Con l’altra sua mano ha usato “il riguardo” di rivolgersi a quelli già assoggettati alle aliquote tributarie più alte. Questa Rivista ha riferito frequentemente, con articoli di diversi autori, sui numerosi provvedimenti sottrattivi posti a carico dei pensionati. La lista è corposa. Noi stessi ne abbiamo riferito nel numero di ottobre 2017 di questa Rivista. Vi sono elencate tutte le modifiche in peggio del sistema perequativo e i relativi provvedimenti di sospensione (12). È sufficiente ricordare, per stare alle più recenti, la sospensione della perequazione per l’anno 2008 e l’ ulteriore sospensione per il biennio 2012-2013. La storia di quest’ultima è tutta nell’inseguimento tra la legge c.d. “Salva Italia” (D.L. 201/11), la Sentenza Costituzionale n.70/2015, il Decreto n.65/2015 e la più recente sentenza Cost. n. 250/2017. La Corte ha ritenuto che i trattamenti assoggettati al blocco perequativo per gli anni 2012-2013, presentano margini di resistenza all’erosione del potere d’acquisto causata dall’inflazione e che pertanto non meritano, nella circostanza, un particolare rimedio costituzionale (13). Il Decreto n. 65, legittimato costituzionalmente, ha assicurato allo Stato un risparmio di ben 21 miliardi che si aggiungono a tutti quelli risparmiati con i precedenti provvedimenti sottrattivi, che hanno colpito sempre gli stessi ”resistenti”: sospensioni del meccanismo perequativo e i c.d. “contributi di solidarietà”, ciascuno dei quali, ultimi, della durata di almeno tre anni. Ad una contribuzione aggiuntiva sono stati sottoposti, per fare buon peso, i titolari di pensioni derivanti dagli ex Fondi speciali (ex fondi Volo, Telefonici, Elettrici, Ferrovieri, Ferrotranvieri, Inpdai, tutti confluiti nell’Inps). Ad essi il legislatore ha riservato un trattamento “di favore”, aggiungendo un altro contributo di solidarietà per sei anni (1/1/2012 - 31/12/2017). L’insieme di tutti questi provvedimenti sottrattivi dovrebbe “indurre a maggiore prudenza nel proporre tagli alle pensioni, deindicizzazioni varie e contributi di solidarietà” dice il già citato Quarto Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano, perché essi “non fanno bene al sistema” (14).

Il progetto di nuovi tagli

Forse nuovi tagli non fanno bene al sistema, sempreché ci si riferisce a quelli utilizzati per migliorare le prestazioni più modeste, all’interno del sistema pensionistico. Ma le valutazioni possono essere diverse se si guarda a un nuovo Stato sociale, con ulteriore allargamento dell’area assistenziale, cui i nuovi risparmi pensionistici sarebbero funzionali. Nel mese di dicembre appena trascorso, è riecheggiato il proposito di consistenti nuovi tagli alle pensioni come capitolo di un programma elettorale. I media ne hanno offerto diverse interpretazioni, ad es: che per una tale operazione occorrerebbe non pagare più la pensione a 145mila titolari di trattamenti superiori a 5mila euro al mese, ovvero che si dovrebbero toccare gli assegni superiori a 3mila ero di 1,1milione di pensionati con una riduzione del 21per cento al mese; altre che, se il tetto dei 5 mila euro è al lordo, bisognerebbe azzerare 151 mila assegni, se invece la somma da considerare fosse al netto, per arrivare all'obiettivo di risparmio ipotizzato bisognerebbe ridurre a cifra zero, e per almeno sei anni, gli assegni di 13 mila pensionati. E così via calcolando. Conteggi complicati, ma fatti da esperti. 
Economisti noti si sono cimentati su ipotesi anche più modeste (risparmio ipotetico 10miliardi). Sono giunti alla conclusione che l’operazione è impraticabile, perché per raggiungere cifre di risparmio così elevate occorrerebbe adottare aliquote da esproprio proletario. (15). Si tratterebbe, allora, di inaugurare una nuova serie che racconti anche una nuova storia del Paese. Di governi, di regimi politici 
Di nuovi tagli non se ne farà niente, a nostro avviso, per motivi tecnici e giuridici. Ma il fatto che una tale ipotesi venga ripetuta con tanta insistenza dovrebbe indurre a ragionarci su. Coinvolgendo necessariamente anche i lavoratori che un giorno andranno in pensione. Soprattutto i giovani, perché possano spiegare che modello di società intendono costruirsi per il futuro.
Note:
  1. Sulle problematiche strutturali e congiunturali del welfare state collegate al più complessivo contesto economico-sociale, si veda, a cura di F. R. Pizzuti: Rapporto sullo stato sociale 2017, Stagnazione secolare, Produttività Contrattazione salariale e Benessere sociale. Sapienza Università Editore (dodicesima edizione). Per le analisi sulle questioni pensionistiche pp.397 e segg.
  2. Delle pensioni indennitarie terremo conto solo nell’esposizione dei dati complessivi relativi alla spesa e al numero delle prestazioni. Quanto alla loro gestione va detto che esse derivano da una contribuzione particolare ed è l’Inps che le paga sulla base di una convenzione con l’Inail.
  3. V. Audizione del Presidente dell’Istituto nazionale di statistica Giorgio Alleva. I^ Commissione “Affari Costituzionali, della Presidenza del Consiglio e interni” della Camera dei Deputati Roma, 5 luglio 2017. Esame delle proposte di legge C. 3478 cost. (Mazziotti di Celso) e C. 3858 cost. (Preziosi).
  4. V. F. R. Pizzuti “Rapporto sullo stato sociale 2017”, cit. Considerazioni di sintesi.
  5. The Impact of Publicly Provided Services on the Distribution of Resources: Review of New Results and Methods’, 10-Jan-2012,OECD.
  6. Cfr. fra i più recenti, Piketty, T. Il capitale nel XXI secolo, § La redistribuzione moderna: una logica di diritti, Ed. Bompiani Vintage, 2016.
  7. V. MEF, Dipartimento delle Finanze. Analisi statistiche - Serie Storiche, Ripartizione dell'IRPEF per le principali fonti di reddito.
  8. Oltre all’imposta IRPEF (imposta sulle persone fisiche) sui proventi da attività economiche si pagano altre imposte. Ad es: sul Reddito delle Società si paga l’ Ires, sulle attività produttive si paga l’Irap; sull’abitazione una serie di altre imposte, dall'Imu alla cedolare secca, alla Tari e altre. Un serie di norme riguardano poi le imposte sulle partecipazioni, sui dividendi, ecc. In un articolo sarebbe troppo lungo specificarle tutte.
  9. Cfr. Rapporto previdenziale, n. 1°,2°,3°. Il bilancio del sistema previdenziale italiano. Andamenti finanziari e demografici delle pensioni e dell’assistenza per gli anni 2012,2013,2014, a cura del Centro Studi e Ricerche di Itinerari Previdenziali.
  10. V. Rapporto n.4 anno 2017. Il bilancio del sistema previdenziale italiano. Andamenti finanziari e demografici delle pensioni e dell’assistenza per l’anno 2015, a cura del Centro Studi e Ricerche di Itinerari Previdenziali.
  11. Un’analisi delle dichiarazioni Irpef e Irap per totali, tipologia di contributi e territoriale, Itinerari Previdenziali. Approfondimento 2016.
  12. V. in questa Rivista :“Trappola per pensionati”, ottobre 2017 .
  13. V. Sentenza Cost. n. 250/2017.
  14. Rapporto n.4 anno 2017 Il bilancio del sistema previdenziale italiano, cit.
  15. L’espressione è in un articolo di “lavoce.info” del 27.09.13., dove gli autori, T. Boeri e T Nannicini, ne escludono la praticabilità già a livello di 10 miliardi
Archivio storico dei numeri di DIRIGENTI INDUSTRIA in formato pdf da scaricare, a partire da Gennaio 2013

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