Pensioni: oltre i tagli e il conguaglio
Non si possono combattere disuguaglianze e ingiustizie sociali adottando sistemi d’ingiustizia fiscale.
Antonio Dentato
I primi effetti dei tagli alle pensioni disposti con la legge di bilancio triennale 2019-2021 n. 145 del 30 dicembre 2018, art.1, commi 261-268, si vedono in aprile: la nuova perequazione è più penalizzante rispetto a quella applicata per il biennio 2014-2018. E sarà a giugno, dopo le elezioni europee, che gli importi delle pensioni di gennaio, febbraio e marzo, calcolati ancora con il meccanismo usato dal 2014 al 2018, subiranno il conguaglio. Si vedranno anche gli effetti di tagli impropriamente detti “contributi di solidarietà”. Le nuove disposizioni portano a riflessioni più complessive in materia pensionistica.
Due i provvedimenti che riducono le pensioni dal 1 gennaio 2019.
Primo: a te riduco la pensione
Per la durata di 5 anni, cioè dal 1 gennaio 2019 al 31 dicembre 20123, “i trattamenti pensionistici [...] i cui importi complessivamente considerati superino 100.000 euro lordi su base annua, sono ridotti di un’aliquota di riduzione”, di cui alla Tab. n.1. (Si parte da 7.692,30 euro lordi mensili). Da queste riduzioni sono esclusi i trattamenti pensionistici di invalidità, quelli riconosciuti ai superstiti e le prestazioni a favore delle vittime del dovere o di azioni terroristiche. Sono escluse anche le pensioni interamente liquidate con il sistema contributivo. A seguito dell’applicazione delle riduzioni, l’importo complessivo dei trattamenti pensionistici interessati non può comunque essere inferiore a 100.000 euro lordi/anno.
Le trattenute di questo tipo sono legittime, secondo la giurisprudenza costituzionale fin ora pronunciata in materia, sempre che siano “improntate effettivamente alla solidarietà previdenziale" (artt. 2 e 38 Cost.). (V. Sent. Cost. n. 173/2016).
A leggere, però, l’impianto normativo che impone questa “riduzione” la parola “solidarietà” non si trova. Sono i media che la nobilitano chiamandola “contributo di solidarietà”. Ed è, invece, un titolo che non le spetta, perché si tratta solo ed esclusivamente di una brutale riduzione della pensione. Se prima potevi dire che l’importo scritto nell’atto di liquidazione della tua pensione, con l’aggiunta di successivi incrementi derivanti dalla perequazione automatica annuale, non veniva modificato da un prelievo nella forma di “contributo di solidarietà”, ora devi dire che quell’importo, applicando la “riduzione”, è modificato. La nuova disposizione lo “riduce”, lo abbassa. È vero che intanto la pensione sarà rivalutata secondo il meccanismo stabilito dall’articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448. (Il tradizionale schema:100%, 90%,75%), ma questo non toglie che l’importo base è modificato. Gli effetti si vedranno su altri fattori di reddito collegati (perequazione, reversibilità, ecc.).
Senza aver la pretesa di addentrarci in una materia di alta complessità giuridica, per la quale saranno gli esperti del diritto a valutare se esistono elementi d’illegittimità costituzionale, intendiamo qui solo formulare qualche osservazione, raccogliendo anche quelle più ricorrenti nel dibattito apertosi sull’argomento:
- sembra che, senza nessuna plausibile motivazione, il provvedimento incida su situazioni patrimoniali definite da disposizioni precedenti;
- la modifica, sia pure in via temporanea, dell’importo della pensione lede il legittimo affidamento del pensionato nella certezza che il provvedimento di liquidazione della sua pensione sia definitivo, salvo a dimostrare che sono stati riscontrati errori di calcolo nell’attribuzione;
- il prelievo non ha niente a che fare con il principio di solidarietà in quanto non opera all’interno del sistema previdenziale.
Secondo: a te riduco l'adeguamento al costo della vita
Fallito il tentativo di ricalcolare con il sistema contributivo i “trattamenti pensionistici pari o superiori a 90.000 euro lordi annui“, per dichiarata impraticabilità tecnica (mancanza di dati certi) della proposta di legge AC. n. 1071, era quasi scontato che il Governo intervenisse con qualche altro provvedimento riduttivo. Come poi è avvenuto (vedi punto precedente). Inatteso era, invece, l’altro provvedimento che si è aggiunto dopo. Si correva il rischio di una procedura d’infrazione da parte della Commissione UE contro l’Italia per deficit eccessivo riscontrato nella legge di bilancio 2019-2021. In tutta fretta, dopo i tira e molla a livello europeo, il deficit/PIL fu portato al 2,04% e nella legge ecco spuntare un nuovo meccanismo di perequazione delle pensioni per i prossimi tre anni. (Tab.n.2). Ancora una volta è spesa la pelle dei pensionati. Il nuovo sistema mette al riparo dall’inflazione solo le pensione fino a tre volte il minimo. Solo i trattamenti fino a 1.522 euro saranno rivalutate al 100%. Le pensioni più alte, invece, per il periodo 2019-2021, saranno indicizzate in base a un meccanismo più penalizzante. Inutilmente la nuova perequazione viene presentata come un miglioramento rispetto a quella applicata per gli anni 2014-2018. Il miglioramento è solo apparente, infatti, se non fosse intervenuta la nuova normativa, il meccanismo utilizzato per gli anni 2014-2018, a cinque fasce, sarebbe stato sostituito dal meccanismo più generoso basato su tre scaglioni. Al contrario: la nuova norma mantiene il meccanismo delle fasce (quello utilizzata fino al 2018), le aumenta a sette, e cambia anche la percentuale di valorizzazione, abbassandola ulteriormente. Insomma le pensioni medio-alte, per tre anni, riceveranno una sforbiciata ancora più incisiva con il nuovo sistema perequativo. Una sforbiciata che taglia in maniera più incisiva le pensioni sulle quali è messa in opera la “riduzione” quinquennale di cui si è detto prima. (Per approfondimenti V. C. Mazzaferro, Taglio nascosto alle pensioni, in “lavoce.info, 08.01.19).
Senza tanti giri di parole, con molto realismo, dobbiamo prendere atto di una continuità legislativa in materia. Passa da una legislatura all’altra una sorta di “testimone”, come in una staffetta: paralizzare il sistema. Con gli effetti del trascinamento che si porta dietro dai numerosi interventi riduttivi e interruttivi già adottati negli anni precedenti, a partire dal 2012 il meccanismo di perequazione delle pensioni ha subito sette anni di penalizzazioni e sospensioni; con il 2019 è cominciato l’ottavo e continuerà con il nono, il decimo, fino al 2021. Non è soltanto nella temporaneità (ancora tre anni di ulteriore perdita del potere d’acquisto della pensione), ma, innanzitutto nella continuità dell’erosione, l’aspetto critico del provvedimento. I moniti della Corte Costituzionale suonano parole al vento. Non hanno trovato, né prima né ora, una qualche attenzione, se non per aggirarli. Eppure, più volte, la Corte ha detto: “la sospensione a tempo indeterminato del meccanismo perequativo, ovvero la frequente reiterazione intesa a paralizzarlo esporrebbero il sistema ad evidenti tensioni con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalità perché le pensioni, sia pure di maggiore consistenza, potrebbero non essere sufficientemente difese in relazione ai mutamenti del potere d’acquisto della moneta" (Vedi Sentenze n. 349/1985, n. 372/1998, n. 316/2010, n. 70 /2015).
Dai tagli al conguaglio
I media hanno parlato di “grande mazzata”, di “salasso” sulle pensioni. Non sono novità. Titoli di richiamo, utilizzati decine di altre volte. Saranno gli interessati a fare i conti. Chi più chi meno, ognuno vedrà quanti soldi perde, mese su mese. È opportuno però andare anche oltre la contabilità personale. Qualche riflessione dobbiamo pur farla sul “come” sono stati preparati questi provvedimenti che ora producono i tagli; sul “perché” a pagare sono sempre e solo i pensionati (in particolare alcuni); su come saranno utilizzati i soldi che vengono dalla “riduzione” delle pensioni.
La preparazione del consenso è cominciata prima col racconto su gente imbrogliona, che si è fatta la pensione non pagando i contributi previdenziali nella misura dovuta. La narrazione di pensioni calcolate con il retributivo come metodo "più generoso", facendo apparire i relativi percettori come dei privilegiati. Lo specchio rovesciato della realtà. Manco a immaginare che dietro queste pensioni possano esserci anni di lavoro, responsabilità, impegno, merito e tanti contributi previdenziali versati. Neppure un ripensamento, anche quando è stato dimostrato che “le pensioni maggiormente avvantaggiate dal metodo retributivo […..] sono quelle intermedie fino a 3.500 euro. Stiamo cioè parlando di pensionati che fanno parte di quel 4,36% di contribuenti che mantengono il 46% della restante popolazione). (Cfr. Alberto Brambilla, La “guerra” delle pensioni: perché la Legge di Bilancio non premia il senso del dovere, Il Punto di vista, 20/12/2018). Un battage propagandistico capace di creare risentimento, rancore diffuso. Diventati odiosi all’opinione pubblica, a carico di questi pensionati era ormai scontato, come già detto, che sarebbero arrivati provvedimenti penalizzanti. Le disposizioni punitive sono arrivate subito dopo; perfino applaudite con il consenso del 68% degli italiani (Vedi Sondaggio pubblicato dal Corriere della Sera, 21 ottobre 2018). Se hanno funzionato artificiosi proclami, può accadere ancora. E questo impone uno sforzo collettivo volto a impedire che la retorica della propaganda prenda il posto della verità. Ci si augura, d’altra parte, che prima o poi intervenga un qualche cambiamento di tono e ci si renda conto che continuare ad offendere la dignità delle persone, sia pure per finalità di contingenza elettorale (è stato autorevolmente spiegato che non è vero che il fine giustifica i mezzi), apre ferite nella comunità sociale, lente a rimarginarsi. Questo non fa il bene del Paese che, invece, ha bisogno di uscire dalla conflittualità sociale permanente e fronteggiare, in uno sforzo comune, le numerose criticità che lo assillano.
La discriminazione. Al di là di tutte le distinzioni teoriche che si possono imbastire, per chi si vede mettere le mani nelle tasche, in esecuzione dei provvedimenti di riduzione delle pensioni (Tab.n.1), questi prelievi non sono operazioni diverse da quelle che comunemente chiamiamo tasse.
Esagerando, i commenti su questa operazione hanno evocato gli “espropri proletari“ dei terribili anni della nostra storia del secolo scorso, ovvero il “prelievo forzoso”, con riferimento al prelievo eseguito nella notte fra il 9 e il 10 luglio 1992 su tutti “i depositi bancari, postali e presso istituti e sezioni per il credito a medio termine, conti correnti, depositi a risparmio e a termine, certificati di deposito, libretti e buoni fruttiferi, da chiunque detenuti” effettuato dall'allora governo Amato, per fronteggiare l’attacco speculativo sulla lira. È una “patrimoniale” sulle pensioni? Le tesi sono molteplici. Noi ci limitiamo, piuttosto, a dire che siamo dinanzi ad una discriminazione. E il provvedimento ci appare come un’imposta discriminatoria che si aggiunge all’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF). E qui parliamo di contribuenti che pagano l'Irpef al 43%. Secondo i calcoli degli esperti (Cfr. Il Sole 24 Ore 25/03/2019), per i prossimi cinque anni è come se questi contribuenti fossero obbligati a pagare un’imposta più alta, dal 44,3% fino al 67%.
Prospera la frode fiscale e contributiva; neppure un centesimo in più è richiesto ai percettori di redditi equivalenti di altre categorie sociali, ma è sui pensionati che il legislatore scarica nuovi balzelli. Avendo escluso dalla riduzione le pensioni interamente liquidate con il sistema contributivo, il provvedimento che colpisce le pensioni sopra i 100mila euro lordi annui è solo frutto di sospetto. Il sospetto che tra queste si annidino le pensioni in tutto o in parte non coperte da contributi previdenziale. Facile propagandare che le tasse non sono state aumentate. Quelli più taglieggiati sono pochi: 24.287 persone, anziane; un nucleo sociale minimo. Non se ne accorge nessuno. Ex lavoratori privi di forza contrattuale, cui viene imposto l’obbligo di pagare più tasse degli altri. (Una delicatezza riservata a pochi privilegiati, non c’è che dire!).
La politica potrà perfino proclamare che così è stata fatta giustizia distributiva delle risorse.
Ma nessuno potrà negare l’evidenza: cioè che siamo in presenza di un provvedimento non dissimile da un “tributo “a carico di una minoranza di cittadini, tassati non in rapporto all'ammontare del reddito (il che avrebbe comportato uguale imposizione a carico di tutti i redditi equivalenti) ma esclusivamente in ragione della fonte del reddito, la pensione. Logica perversa.Non si possono combattere disuguaglianze e ingiustizie sociali adottando sistemi d’ingiustizia fiscale!
L’incertezza sulla destinazione dei fondi. Non si sa ancora dove andranno a finire i soldi sottratti ai 24.287 pensionati ai quali è stata ridotta la pensione. Mancano i criteri per aiutare, ad esempio, i titolari di pensioni più basse. Si dice solo che sono istituiti presso l’INPS e gli altri enti previdenziali interessati appositi fondi denominati "Fondo risparmio sui trattamenti pensionistici di importo elevato" in cui confluiranno mensilmente i risparmi derivati dalle riduzioni appena dette. “Le somme ivi confluite restano accantonate”. “Accantonate” dice la legge, e questo significa che non sono somme immediatamente spendibili. Questo si chiama fare “cassa”. Che, guardando alla giurisprudenza costituzionale, non ha niente degli elementi costitutivi del “contributo di solidarietà” e nessun vincolo di destinazione. Le determinazioni relative alle somme da destinare ai fondi suddetti saranno operate mediante la procedura della Conferenza di servizi (art. 14 della legge 7 agosto 1990, n. 241). Una procedura lunga e complessa.
Sarà importante vigilare sulle modalità di attivazione della Conferenza, in relazione al funzionamento del Fondo e bisognerà soprattutto capire quale sarà la destinazione finale dei risparmi che verranno dalla “riduzione” delle pensioni. È importante anche per le iniziative che la Federazione, o i singoli, vorranno prendere a fronte delle nuove norme pensionistiche.
01 maggio 2019