Per una fiscalità più equa, a difesa del reddito e contro le discriminazioni
Le analisi pubblicate recentemente da Itinerari Previdenziali sulla fiscalità in Italia sottolineano quanto sia urgente proteggere il potere d’acquisto delle pensioni del ceto medio, messe a rischio da politiche fiscali e sistemi di perequazione penalizzanti, e quanto sia importante impegnarsi per difendere i diritti dei pensionati contro inammissibili discriminazioni
Mino Schianchi
Presidente Comitato Pensionati ALDAI-Federmanager
Il raggiungimento della pensione non garantisce automaticamente una tranquillità duratura per gli anni a venire. Nonostante rappresenti il coronamento di anni di lavoro e sacrifici, la pensione non può essere considerata una sicurezza immutabile. Anzi, la necessità di difendere il reddito da pensione diventa sempre più urgente in un contesto in cui i pensionati, la parte più vulnerabile del ceto medio, subiscono spesso misure economiche e fiscali penalizzanti. L’inflazione e l’incertezza sulle politiche di perequazione ne riducono il potere d’acquisto, minando la qualità della loro vita. Senza una tutela adeguata, soprattutto per i pensionati più anziani (questione dell’assistenza domiciliare), la stabilità economica viene compromessa, rendendo essenziale un impegno costante per rivendicare i loro diritti e garantire una protezione duratura del reddito.
Una considerazione questa che è la ragione della lunga azione delle nostre Rappresentanze, impegnate a richiamare i Governi a cessare i continui interventi riduttivi sulle pensioni, soprattutto quelle di importo pari o superiore a quattro volte il minimo. Queste pensioni sono state gravemente colpite dai cosiddetti “contributi di solidarietà” ma, soprattutto, da interventi che hanno bloccato o alterato il meccanismo di adeguamento automatico. Alterazioni così profonde che, nelle disposizioni più recenti, le rivalutazioni si sono ridotte a interventi simbolici, anche negli anni in cui l’alta inflazione ha gravemente eroso il potere d’acquisto.
Sebbene i ricorsi presentati, con il sostegno delle nostre Organizzazioni, non abbiano sempre prodotto i risultati sperati, hanno comunque indotto la Corte Costituzionale a richiamare più volte il legislatore, esortandolo a evitare continue misure depressive sulle pensioni. Infatti, la Corte ha avvertito che il ricorrente ricorso a questi interventi genera tensioni e può compromettere i principi fondamentali di ragionevolezza e proporzionalità del sistema previdenziale. Esiste un limite temporale – ha avvertito – oltre il quale le sospensioni indefinite del meccanismo perequativo, o la reiterazione di interventi volti a paralizzarlo, minano la stabilità del sistema, mettendo a rischio anche le pensioni di maggiore importo.
Ripristino del meccanismo di perequazione tradizionale
Alla fine un risultato evidente. Grazie all’azione costante delle nostre Rappresentanze, impegnate a richiamare la politica verso un approccio più moderato e giusto per i pensionati, e con il sostegno di singoli, che continuano a rivendicare equità a protezione dei loro trattamenti, si sono ottenuti riscontri positivi anche dalle magistrature di merito. Proprio in relazione a queste iniziative ora si attende l’esito degli atti di ricorsi rimessi alla Corte Costituzionale. Ci riferiamo all’Ordinanza di rimessione addotta dalla Corte dei Conti Sez. Toscana del 6 settembre 2024 e a quella della Sez. della Corte dei Conti della Campania dell’11 settembre 2024. Questi atti della magistratura contabile testimoniano la fondatezza delle istanze portate avanti in difesa dei diritti pensionistici. Non possiamo prevedere l’esito di questi ricorsi. Speriamo rispondano alle nostre attese.
Possiamo ipotizzare però che, probabilmente (ma è solo una nostra personale valutazione) le motivazioni contenute nelle Ordinanze adottate dalle due sezioni della Corte dei Conti abbiano contribuito, in qualche modo, a modificare l’atteggiamento della politica verso i pensionati. Possiamo registrare con soddisfazione, infatti, che è stata ripristinata finalmente la rivalutazione delle pensioni, secondo il meccanismo di adeguamento all’inflazione previsto dalla legge n. 388 del 2000: 100% all’inflazione per gli assegni d’importo fino a 4 volte il trattamento minimo, del 90% per quelli tra 4 e 5 volte il minimo e del 75% per le pensioni d’importo superiore. Niente più ricalcolo a “fasce” di reddito.
Tutto bene allora? Non proprio, e non per tutti.
La discriminazione
L’articolo 27 del Disegno di Legge di Bilancio 2025 è un chiaro esempio di come andare in pensione non significhi necessariamente ottenere stabilità e serenità, come spesso si immagina.
Questo articolo introduce infatti una disparità di trattamento che penalizza i pensionati in base al luogo di residenza.
Per il 2025, i pensionati che vivono all’estero e ricevono una pensione superiore al minimo INPS vengono esclusi dal sistema di rivalutazione automatica. Da un lato, possiamo apprezzare il ritorno a un meccanismo tradizionale di adeguamento delle pensioni al costo della vita, ma questo vale solo per chi risiede in Italia. È una discriminazione evidente, che colpisce chi ha scelto di trasferirsi all’estero, spesso non per motivi di piacere o vantaggi fiscali, ma per necessità familiari, per assistenza, per ragioni sanitarie o, anche, per pregressi motivi di lavoro.
La norma ignora poi un aspetto importante: molti pensionati residenti all’estero continuano a pagare integralmente le imposte in Italia, incluse le addizionali comunali e regionali. Tuttavia, pur contribuendo al sistema fiscale italiano, questi pensionati hanno perso il diritto all’assistenza sanitaria nazionale.
Un’ulteriore riflessione riguarda il fatto che la residenza all’estero è una scelta obbligata per legge se la permanenza fuori dai confini nazionali supera i dodici mesi. Non si tratta, quindi, di un’opzione facoltativa, ma di un vincolo normativo, che rende ingiusto escludere questi pensionati dall’adeguamento della pensione al costo della vita. È una questione di equità: i diritti dei pensionati italiani devono essere garantiti a prescindere dalla loro residenza.
Le nostre Rappresentanze hanno previsto un intervento correttivo su questa norma, perché venga garantita la parità di trattamento per tutti i pensionati, ovunque essi vivano.
La pressione fiscale
Insieme alle iniziative per distinguere chiaramente tra previdenza e assistenza, occorre che ci impegniamo con rinnovata determinazione nell’evitare che le pensioni vengano ridotte a causa della pressione fiscale.
In effetti, la questione della tutela dei redditi pensionistici è strettamente legata alla fiscalità, come evidenziato dal recente rapporto dell’Osservatorio Itinerari Previdenziali, che rileva un carico fiscale sproporzionato sui contribuenti del ceto medio, molti dei quali pensionati. Questo squilibrio crea un sistema fiscale iniquo, dove i cittadini rispettosi degli obblighi fiscali sostengono un peso crescente, mentre è consistente il numero di quelli che non contribuiscono adeguatamente al mantenimento della spesa pubblica. Parliamo soprattutto degli evasori che, di fatto, rubano agli onesti che, invece, le tasse le pagano e le pagano alla fonte, come fanno i lavoratori e i pensionati.
Come osservato dal Presidente CIDA, Stefano Cuzzilla, in Italia chi paga più tasse spesso riceve meno servizi, un paradosso che inquina la trasparenza fiscale e mina l’equità sociale. Per riequilibrare questo sistema e sostenere il welfare, è essenziale ripensare le politiche fiscali per garantire equità e rafforzare la lotta all’evasione. In questo contesto, ci impegniamo per un deciso sostegno alle iniziative che saranno intraprese dalle nostre Rappresentanze.
01 dicembre 2024