Più deboli le difese delle pensioni

Occorre rafforzare l’impegno per difenderle

Sintesi di alcuni argomenti sottoposti alla riflessione del Comitato di Coordinamento Nazionale Pensionati di Federmanager sul difficile equilibrio tra diritti dei pensionati e spesa pubblica.

Mino Schianchi  

Presidente Coordinamento Nazionale Pensionati Federmanager

Il contributo di solidarietà non è più incostituzionale

Con la sentenza 173/2016, la Corte Costituzionale ha confermato la legittimità del provvedimento del governo Letta. Così ora il "contributo di solidarietà" sulle pensioni più alte non è un’imposta aggiuntiva e illegittima, bensì un "prelievo" tutto interno al circuito pensionistico allo scopo di tenerlo in equilibrio.
La Corte in questa occasione ha ritenuto legittima anche la norma sulla rivalutazione decrescente degli assegni introdotta dal Governo Letta, norma che, per i suoi effetti di trascinamento e senza meccanismi di recupero, determina un danno economico continuativo e crescente sui redditi dei pensionati e anche sui redditi dei titolari dei trattamenti di reversibilità.

La sentenza è stata  una buona notizia  per il Governo

La sentenza si fa carico del grande problema sociale del nostro Paese, dove le nuove generazioni sono più povere di quelle più anziane, e consente al legislatore di rimediarvi, utilizzando spazi di manovra più ampi rispetto ai limiti che fin ora lo stesso ha dovuto rispettare.
Al legislatore ora si apre un’autostrada su cui far correre i provvedimenti pensionistici. Con grande rischio per chi guida. Il Governo, pressato della demagogia dilagante, può andare a sbattere fragorosamente e provocare gravi danni al già fragile rapporto di fiducia tra lo Stato ed i cittadini.
Questa sentenza ha comportato risparmi, stimati dal Governo per il triennio 2014-2016, pari a: € 156 milioni, al netto degli effetti fiscali, per il contributo di solidarietà e € 2.699 milioni, sempre al netto degli effetti fiscali, per il mancato recupero del meccanismo perequativo stabilito dall'art. 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448. Tale risparmio non comprende l’effetto trascinamento per gli anni successivi (per il solo 2017 il risparmio stimato sarà di
€ 1.407 milioni).
Questo recupero è però ben poca cosa in confronto al fabbisogno causato da chi le tasse e i contributi non li hai mai pagati. Infatti il 53% del totale dei pensionati è assistito totalmente o parzialmente dallo Stato e quindi da tutti coloro che pagano le imposte e hanno versato i contributi previdenziali. Per dare la pensione agli oltre 8 milioni di persone che, arrivati a 66 anni, non hanno versato neppure 15 anni di contributi, la collettività si carica di un costo annuo di oltre 48 miliardi.

La sentenza non è stata una buona notizia per i pensionati

Soprattutto perché non se l’aspettavano, visto che il provvedimento di prelievo è stato varato a distanza di sei mesi dalla Sentenza Cost. n. 116/2013: una Pronuncia netta con la quale è stato dichiarato illegittimo l’analogo “contributo di perequazione” fissato per il triennio 2011-2013 perché qualificato come “prelievo tributario”.
Il secondo contributo di solidarietà, istituito con la legge di stabilità 2014, è stato giudicato costituzionalmente legittimo, perché il 5 luglio scorso la Corte Costituzionale ha escluso che abbia natura tributaria. In questo secondo caso la Consulta ha ritenuto che trattasi di un “un contributo di solidarietà interno al circuito previdenziale, giustificato in via del tutto eccezionale dalla crisi contingente e grave del sistema”.

L’astuzia usata dal  legislatore nell’emanare la Legge di Stabilità 2014 ha avuto successo

Il legislatore non ha più fatto riferimento alla “stabilizzazione finanziaria”. Ha usato un escamotage contabile: anziché indirizzare l’ammontare dei contributi nel bilancio pubblico (come nel provvedimento precedente), lo ha orientato verso le attività assistenziali dell’INPS. Ciò allo scopo di sostenere i lavoratori che risultavano “esodati”.

Un “bail-in” previdenziale

Dalla sentenza traspare una visione del Paese suddiviso in compartimenti stagni, ognuno dei quali (in questo caso quello dei pensionati) è tenuto a trovare al suo interno le risorse necessarie a risolvere problemi che in realtà riguardano tutti gli altri cittadini, e cioè l'Italia nel suo complesso.
Con la sentenza n. 173 la Corte Costituzionale tutela i fini e non le regole: di fatto consente il finanziamento di operazioni assistenziali quali la sanatoria del problema “esodati” e la lotta alla disoccupazione giovanile, decurtando con ulteriori prelievi parte delle pensioni pregresse identificate con criteri discriminatori.
A risolvere le criticità del sistema previdenziale sono chiamati a rispondere quei pensionati con trattamenti medi o medio-alti, pensionati già colpiti da trattenute erariali alla fonte, le più alte d’Europa. Pensionati facili da espropriare, perché privi di forza contrattuale; peraltro resi odiosi all’opinione pubblica da una propaganda denigratoria. Sono questi i pensionati ai quali, mentre già svolgono il ruolo di ammortizzatore sociale, supplendo alle insufficienze del sostegno pubblico, è “imposto” di andare ancora oltre nel loro impegno.

Lo scenario peggiore

Quello aperto dalla nuova decisione della Consulta è lo scenario peggiore.
È una decisione che apre la strada al ricorso a prelievi all’interno dello stesso sistema previdenziale, tesi da tempo sostenuta dal Presidente dell’INPS, a carico dei trattamenti pensionistici prescelti, di volta in volta, da un certo livello in su.
Ancora una volta il patto siglato tacitamente con lo Stato nel periodo dell’attività lavorativa non viene rispettato. Il diritto acquisito con le vecchie leggi che ha costituito a suo tempo il presupposto per una scelta consapevole di una carriera piuttosto che di un’altra e del connesso progetto di vita proiettato nel futuro, viene nuovamente eluso.

Provvedimento “una tantum”

In verità la Corte sancisce la legittimità del provvedimento solo quando si tratta di fronteggiare crisi contingenti e gravi del sistema, sia pure in via del tutto eccezionale (una tantum), ma per esperienza sappiamo quanto restino inascoltati i moniti della Consulta rivolti al legislatore a non eccedere con provvedimenti che di fatto erodono, nel tempo, il potere d’acquisto dei pensionati.
Un altro aspetto negativo della sentenza sta nel fatto che i segnali di prudenza posti come limiti entro cui contenere i prelievi si presenteranno via via più sbiaditi. Oltretutto l’ambito della collettività chiamata a fornire risorse per fronteggiare i grandi problemi sociali viene ancora una volta circoscritto ad una parte dei pensionati.
E questo proprio mentre la crisi economica che viviamo imporrebbe di mobilitare l’intera “solidarietà nazionale” per risolverli. La solidarietà esercitata dall’intera società civile, come quando le grandi catastrofi naturali attaccano il nostro Paese. Una solidarietà che trova, invece, indirizzi di segno contrario nel campo previdenziale.

Dal diritto alla pensione ad un sistema di assistenza generale

Si avverte il progressivo avanzare di una previdenza che scivola lentamente verso un sistema di assistenza livellato sugli assegni più modesti. Una previdenza orientata all’assistenza, e non più alla pensione come diritto. Le inquietudini aumentano quando si osservano i nuovi indirizzi della giurisprudenza la quale appare sempre più incline a legittimare provvedimenti riduttivi delle pensioni, in quanto funzionali alla soluzione delle crisi del sistema previdenziale, causate da fattori prevalentemente esogeni al sistema stesso.
I frequenti tagli, lo slittamento progressivo del sistema pensionistico verso modelli assistenziali, l’indebolimento delle protezioni dei diritti dei pensionati sono tutte misure che vanno ad iscriversi in un disegno volto a fronteggiare la crisi cronica della previdenza sociale, come parte della persistente crisi  economica e finanziaria del Paese.
Ma il disegno è parziale e discriminatorio. Soprattutto non conduce all’obiettivo auspicato.
Insistere nel ridurre i redditi pensionistici per assicurare risorse all’assistenza, oltre che deprimere i consumi e quindi la crescita economica, non risolve le disuguaglianze su cui s'innesta il conflitto sociale.

Cambiare la strategia di sviluppo 

Non ha più senso praticare forme di trasferimento diretto di ricchezze da quelli che hanno di più a chi ha di meno. Nei tempi in cui viviamo sono altre le modalità di redistribuzione della ricchezza disponibile, sono modalità che passano attraverso l’incremento dei servizi, il miglioramento della formazione e dell’informazione, l’ottimizzazione delle reti di comunicazioni. Occorre ribadire che la soluzione dei vari irrisolti problemi del nostro Paese va individuata in seno allo Stato, nel suo insieme, e non settorialmente.  E che la richiesta di risorse ulteriori attraverso il fisco deve interessare in maniera equa e proporzionale tutti i cittadini, e non solo una parte di essi.

Contro ogni logica di casta

Noi pensionati non dobbiamo chiuderci come casta e vivere da assediati nel nostro fortino; anche se accerchiati da misure che decurtano continuamente i nostri trattamenti, non dobbiamo cadere nella trappola di mugugni rancorosi e lamentazioni ripetitive. Al contrario è necessario che assumiamo un ruolo più attivo non solo per contribuire alla formazione dei provvedimenti normativi che riguardano i nostri diritti, ma soprattutto per difendere i principi della certezza del diritto e del legittimo affidamento. Principi che sono la condizione stessa del nostro vivere insieme in uno Stato di diritto. Oggi più di ieri dobbiamo essere attivi e formulare proposte, azioni divulgative, commenti, analisi, che contribuiscano alla conoscenza più ampia dei problemi che ci stanno davanti. Dobbiamo ricercare argomenti che abbiano sufficiente solidità, per fare avanzare un dibattito che porti al convincimento da parte di tutti di un impegno più pertinente e pressante sulla materia; che vada oltre le disquisizioni sulle “pensioni d’oro”.

“Pensioni d’oro”

È questa un’espressione che vuole trasmettere un messaggio indecente, di vergogna, contro i più anziani, o anche parte di essi. Un’espressione insidiosa, che ci condanna, senza mezzi termini, e senza distinzione, come abusivi del sistema previdenziale o peggio come percettori di assegni non dovuti, tutti: sia quelli che prendono pensioni stratosferiche che quelli che vivono di trattamenti appena dignitosi. Quelli che le pensioni se le sono pagate, con alti contributi previdenziali, e quelli che, invece, hanno raggirato le disposizioni che ne regolano l’attribuzione, e ne hanno profittato.  Tutti i pensionati con pensioni medio-
alte vengono messi in un solo fascio con l’obiettivo fondamentale di alimentare un conflitto intergenerazionale, in un terreno di scontro continuo. Perché questo crea consenso politico e parallelamente amplia il mercato mediatico.

Un impegno più incisivo dei pensionati

È su questi argomenti che dobbiamo riflettere e attivare contromisure coerenti. Perché è sulla faziosa utilizzazione di essi che si innestano e si motivano le misure sempre più restrittive contro di noi. Nello sforzo continuo di ricerca, di analisi, di proposta, di partecipazione alle azioni democratiche, credo debba svilupparsi in maniera costante il nostro sostegno, come pensionati, alle iniziative politiche e giudiziarie che assume la nostra Federmanager, autonomamente o nell’ambito della Confederazione CIDA.
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