Il merito nel futuro del ceto medio (e del Paese)

I dati del Rapporto Censis - CIDA e i risultati del Meritometro convergono nel delineare l’esigenza di mettere il merito al centro dell’agenda pubblica del Paese nel prossimo futuro: una richiesta chiara alla quale i policy maker sono chiamati a rispondere

Giorgio Neglia      

Consigliere Forum della Meritocrazia e Responsabile Meritometro e Meritorg
Il ceto medio ha tradizionalmente rappresentato il motore della crescita e dell’innovazione del nostro Paese. Da qualche tempo però questa componente centrale del tessuto socioeconomico italiano vive una condizione che il recente Rapporto Il valore del ceto medio per l’economia e la società (Censis - CIDA, 2024) definisce di crescente preoccupazione per il futuro, tra paure di “declassamento sociale, invalicabili soffitti di cristallo e ascensori sociali bloccati”. Il Rapporto ha il pregio di offrire una disamina attuale e puntuale della situazione e di evidenziare - tra i tanti aspetti presi in esame - l’importanza e l’urgenza di “riscoprire” il valore del merito come meccanismo di regolazione sociale. Nel seguito si fornisce una lettura trasversale dei principali risultati del Rapporto che analizzano e declinano questa priorità, per giungere a indentificare alcune possibili linee d’azione per realizzarla. 

Impegno, fisco e declassamento 

Secondo il Rapporto, il 57,9% degli italiani ritiene che l'impegno nel lavoro e il talento, nel nostro Paese, non siano adeguatamente premiati. Questa percezione, diffusa anche nel ceto medio e tra i giovani, genera una forte disillusione, che si riflette nella sensazione di declassamento sociale (avvertita anche dal 45,7% dei dirigenti).
Un altro dato significativo riguarda la fiscalità. L'82% delle persone che si identificano nel ceto medio ritiene che il sistema fiscale dovrebbe premiare chi crea impresa, lavoro e opportunità. È ampiamente diffusa la percezione che una tassazione oltre un certo livello di reddito risulti eccessiva, tanto da disincentivare l’impegno. A dispetto dei tanti dibattiti, spesso ideologici, sul tema del merito e della sua valorizzazione, dal Rapporto emerge una chiara opzione pro-merito della popolazione: “il 73,7% degli italiani è convinto che se una persona ha talento ed è capace, è legittimo e giusto che guadagni tanto”

Mobilità sociale e diseguaglianze

In coerenza con il quadro sopra descritto, il Rapporto evidenzia la percezione di una mobilità sociale bloccata, risultato (inevitabile) di un contesto che non valorizza il merito. Il 76% degli italiani crede, infatti, che sia sempre più difficile salire nella scala sociale. Di più, il 65,7% del ceto medio ritiene che le generazioni passate vivessero meglio e, percentuali ancora superiori, pensano che le generazioni future staranno peggio di quelle attuali. Il Rapporto sottolinea, inoltre, l’importanza di contrastare le disuguaglianze. Esiste, infatti, una forte preoccupazione per un sistema che sembra favorire “l’ereditarietà piuttosto che il merito”. Il ceto medio crede che una società basata principalmente sull’ereditarietà della ricchezza abbia effetti deleteri su sviluppo ed equità. Per questo, oltre il 60% del ceto medio ritiene essenziale prevedere meccanismi che differenzino reddito e ricchezza in base a capacità e merito individuale (opinione condivisa anche dai “ceti popolari”).

Manager “garanti della meritocrazia” 

Per il ceto medio, il manager è il soggetto deputato a promuovere lo sviluppo e la concreta applicazione del merito, attraverso un’adeguata valorizzazione delle risorse umane, all’interno delle organizzazioni pubbliche e private. 

Oltre l’87% degli italiani ritiene indispensabile valorizzare e promuovere cultura, capacità e competenze del management. Ai manager è largamente riconosciuto il ruolo di “trascinare e motivare gli altri” e di contribuire a generare una più alta efficienza nelle imprese e nella Pubblica Amministrazione, premiando “i più meritevoli ad ogni livello”.

Non solo, un italiano su due ritiene necessario potenziare il ruolo dei dirigenti nelle organizzazioni e poco meno del 70% è convinto del fatto che è necessario investire per aumentare la managerializzazione anche attraverso l’inserimento di giovani figure dirigenziali. Il ruolo positivo del management è ribadito anche con riferimento alla dirigenza della scuola e della sanità, senza dimenticare i pensionati e il loro bagaglio di esperienze e professionalità che va valorizzato e lasciato libero di esprimersi mediante autonome scelte di vita. 

La managerialità buona è, quindi, il principale pilastro su cui basare il rilancio del merito come criterio di regolazione socioeconomica. I manager sono considerati i garanti della meritocrazia nelle organizzazioni; la loro capacità di riconoscere e valorizzare il talento e l’impegno è cruciale nel promuovere la cultura del merito.

Percezioni, conferme e (prime) indicazioni per i policy maker

Il Rapporto Censis-CIDA mette in luce la necessità di un profondo cambiamento culturale e strutturale per valorizzare il merito e il ceto medio a beneficio dell’intero Paese. Le percezioni emerse dall’indagine trovano conferme oggettive nei risultati del Meritometro, il ranking annuale del merito in Europa realizzato dal Forum della Meritocrazia in collaborazione con l’Università Cattolica di Milano che dal 2015, utilizzando dati provenienti da fonti statistiche internazionali, fotografa lo stato del merito nel vecchio continente. 

Per il Meritometro, l’Italia è fanalino di coda tra i Paesi europei in termini di meritocrazia, con un forte divario rispetto ai principali partner comunitari causato da: un sistema di regole complicato e inefficiente, un soffitto di cristallo ancora presente e pesante, una limitata attrattività per i talenti, una mobilità sociale ferma, un livello di trasparenza non sufficiente e un sistema educativo dalle performance migliorabili. 

Le percezioni (e i dati) fin qui ricordati convergono nel delineare l’esigenza di mettere il merito al centro dell’agenda pubblica del Paese nel prossimo futuro. Una richiesta chiara che proviene dal ceto medio, categoria a cui – lo ricordiamo – dice di appartenere oltre il 60% della popolazione italiana, alla quale i policy maker sono chiamati a rispondere, creando condizioni di sistema idonee a ridare slancio e fiducia a questa componente vitale per il futuro del Paese. 

Tre le possibili priorità emergenti sulle quali lavorare: 
  •  promuovere un (eco)sistema di regole e una fiscalità che incentivino il merito, liberando le tante energie di cui dispone il Paese, premiando (o almeno non disincentivando) chi investe e si impegna di più;
  • favorire la mobilità sociale con politiche che incoraggino l’accesso alle opportunità e riducano le barriere alla crescita personale, a partire da un rilancio della qualità del sistema educativo; 
  • valorizzare il ruolo e le competenze del management per migliorare la capacità delle organizzazioni di essere efficienti e di investire sulle risorse umane. 

La sfida è complessa, ma indispensabile per costruire una società più giusta e dinamica. Una società in grado di garantire pari opportunità, nella quale le competenze contano più delle appartenenze, che riconosce e premia l’impegno: in altri termini, una società più meritocratica.

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