L'antirinascimento di H. Bosch
L'Europa multiculturale del '500 e i rapporti con Dürer e i pittori italiani
Silvia Bolzoni
Gesù sale al Calvario, arrancando con il peso della sua croce, mentre intorno a lui si affastellano mille personaggi, lo circondano, lo sovrastano. Un dramma, nel vero senso della parola, che viene messo in scena sulla carta. O sulla tavola. Sulla carta da Martin Schonagauer e sulla tavola da Bosch.
Il primo, con quella sua linea incisa sicura, il secondo a far brillare i colori con la lucentezza dell’olio.
Martino il Bello e Hieronymus Bosch si confrontano sullo stesso soggetto a pochi anni di distanza, sul finire del ’400, arrivando entrambi a due vertici intensi che mostrano il dialogo fra la scuola tedesca e quella fiammingo-olandese. Un dialogo proficuo che trasforma l’ultimo Gotico cortese in quel Rinascimento nordico che avrà in Dürer la sua chiave d’accesso all’aureo mondo del Rinascimento italiano.
Bosch, che potrebbe sembrare a prima vista lontano dalla sensibilità italiana, entra attraverso questi canali nell’idea figurativa meridionale con potenza tale che non a caso un sovrano come Filippo II di Spagna sarà un suo avido collezionista, così come lo sarà di Tiziano. E Tiziano, El Greco, Savoldo a loro volta guarderanno a questo padre d’arte, di una, due generazioni più vecchio, lontano da loro eppure così ammaliante che non potranno sottrarsi dal farci i conti.
Bosch che insegna ma che prima impara. E si forma, lui nato nel 1453, l’anno in cui l’Occidente dice addio a Bisanzio, prima nella bottega di famiglia e poi viaggiando, a Utrecht, Delft, venendo in contatto con l’arte incisoria, con la miniatura, con l’astrologia e l’esoterismo. Nulla lo lascia indifferente, tutto si sedimenta nel suo pennello. Una pittura fantastica, di mostriciattoli e demoni e angeli dalle ali di libellula, che attinge però nei suoi dettagli all’iperrealismo.
Per questo piace Bosch, oggi come ieri: rende materiali le visioni, aiuta a vedere l’inimmaginabile e trasporta anche il più materialista degli uomini in mondi surreali che hanno la stessa consistenza del nostro. Bisognerà forse aspettare Tolkien per ritrovare, nella parola, il suo più vicino epigono, creatore assoluto di mondi altri che modellano la fantasia delle genti.
Ma Hieronymus non è solo questo. Il legame fra lui ad Erasmo, fra il più celebre Elogio della follia e la sua Nave dei Folli è innegabile. Come Erasmo, anche Bosch è un uomo di profonda spiritualità, legato alla Devotio Moderna, confratello fino alla fine dei suoi giorni, nel 1516 (altro annus mirabilis come pochi nella storia dell’Occidente), di una delle più importanti istituzioni religiose di 's-Hertogenbosch, la città in cui nacque, visse, morì e da cui si “nomò”: il suo vero nome, infatti, è Jeroen Anthoniszoon van Aken.
A cura di Bernard Aikema (già incontrato nelle ultime mostre su Dürer), Fernando Checa Cremades e Claudio Salsi, la mostra che si è aperta a novembre a Palazzo Reale non è una semplice retrospettiva su questo grande artista, ma un momento di studio per comprendere la complessità dei rapporti tra il Nord e Sud d’Europa, le relazioni tra Bosch, il suo background culturale e la ricezione delle sue innovazioni nel mondo mediterraneo, soprattutto italiano e spagnolo, dove l’artista avrà maggior fortuna: in un Italia sconvolta dalle guerre, senza più punti di riferimento, che dal Rinascimento si incammina verso il Manierismo, l’anti-rinascimento. Forse davvero vichianamente, questa mostra non poteva capitare in periodo migliore per capire non solo Bosch e il ’500, ma per avviare una profonda riflessione sul mondo contemporaneo, partendo da quell’analisi di vizi e virtù dell’uomo, scandagliando paure e ambizioni, in bilico, ieri e oggi, tra dannazione e salvezza.
SAVE THE DATE
L'incontro L'antirinascimento di H. Bosch si terrà
martedì 7 febbraio 2023 alle ore 17:00
in Sala Viscontea Sergio Zeme
Per partecipare è necessaria la registrazione su www.aldai.it
01 dicembre 2022