Prof. Giovanni Strobino. Riparliamone
Con questa nota vorrei rendere noti fatti che di certo sono stati trascurati, se non addirittura ignorati, ma che io ricordo nei più minuti dettagli e che considero emblematici di come certe persone possano lasciare imperitura memoria della missione compiuta.
Dario Radaelli
Socio ALDAI e Maestro del LavoroI meriti del Prof. G. Strobino superano, a mio avviso, anche i livelli riconosciutigli ufficialmente. Nessuno ha mai posto, sulle sue iniziative e sull'impegno da lui profuso, la giusta attenzione e dato la giusta importanza.
Io posso essere un valido testimonio dei meriti a lui attribuibili, oltre quello qui raccontato e in aggiunta a quelli già noti. Non è tempo sprecato ritornarci sopra, tutt'altro; si scopre che talvolta si può fare meglio prendendo lo spunto proprio dai predecessori piuttosto che da certi illusi odierni fanatici dello “pseudoprogresso”. Grazie alla mia lunga e particolare esperienza di lavoro mi sono convinto che talora è meglio seguire i saggi consigli dei nonni. Anche Einstein, del quale io non so molto, ma so essere stato un grande scienziato, la pensava così; è ben nota la sua dichiarazione sul progresso come inteso attualmente, magari a scapito della saggezza e di una ovvia logica.
Mi riferisco all'epoca del preside Strobino: frequento la “Bernocchi”, periodo estivo, non vado in vacanza per problemi familiari, chiedo al Preside se posso dare una mano all'insegnante di meccanica per la riparazione del macchinario guastatosi durante l'anno scolastico. Acconsente e io mi do da fare. In seguito mi richiama per farmi una proposta: mi avrebbe trovato un'azienda disposta a “tenermi a balia” durante il periodo feriale poiché riteneva, giustamente, piuttosto povera l'attività presso l'officina della scuola. Detto fatto, mi presento alla prima delle aziende disponibili e, guarda caso, mi ritrovo in una fabbrica di freni motore usati per misurare la potenza erogata dai motori auto e avio proprio dove trovo un posto di lavoro, come detto qui di seguito. È una specie di anteprima dell'attuale tendenza delle scuole che sembra una novità, ma tale non è.
Siamo nel 1943, in pieno periodo bellico, concludo positivamente gli studi (cinque anni) presso la “Bernocchi”.
Per problemi di famiglia dovetti cercarmi un posto di lavoro rinunciando al proseguimento degli studi. Pianse mio padre al quale il Prof. Strobino aveva raccomandato di farmi continuare iscrivendomi all'università (Quale? Dove? Mezzi di trasporto? Spese, con l'aria che tirava…).
Io scelsi il tipo di attività che mi interessava di più (avio) e il Prof. Strobino mi diede una lettera di presentazione per il Direttore della Scuola di perfezionamento dell'azienda che avevo contattato. Non era una raccomandazione a mio favore, bensì un suggerimento a questo Direttore affinché mi tenesse d'occhio in quanto ero promettente. Intuii le sue intenzioni quando, dopo averla letta, fece fare una copia della lettera e me la diede; la tengo come ricordo e portafortuna perché vuol dire che ci aveva creduto, infatti nel tempo si vedrà la conferma della sua opinione.
Fui assunto e incominciai un ciclo di addestramento con programmati periodi di lavoro in vari reparti anche molto diversi, per oltre due anni. Nel frattempo venni incaricato di istruire i reduci della campagna di Russia, tutti senza una gamba (curati dalle donne russe abili nei casi di congelamento). Quindi per loro, solo lavori da sedentari, data la loro menomazione, intanto io imparavo e insegnavo! Tutti mi volevano un gran bene, insieme abbiamo subito il famoso bombardamento del 20 ottobre 1944.
Concretamente è stata un'esperienza indimenticabile ma, soprattutto, formativa, grazie anche alla mia curiosità; tutto mi interessava: veder costruire gli oggetti dei miei sogni (motori d'aviazione) e aiutare quei poveretti! Una vera lezione di vita! Ero pagato per imparare: il salario era di 1.08 lire/ora, cioè circa 10 lire/giorno, straordinari inclusi. Mia madre era tutta contenta, finalmente qualcosa di più in famiglia.
Avevo però una gran voglia di migliorare la mia preparazione di base e decisi, di mia iniziativa, di scrivere articoli che i giornali locali pubblicarono con piacere; in essi sostenevo la necessità di organizzare corsi di tipo universitario locali, sostitutivi di quelli non disponibili, per le ovvie ragioni dovute alla criticità del periodo bellico. Un giorno il Prof. Strobino, che mi conosceva bene, mi mandò a chiamare e mi fece una specie di interrogatorio; aveva raccolto i miei articoli e voleva essere sicuro di poter fare bene quanto io proponevo. Mi disse che l'idea era molto buona e che avrei dovuto continuare a scrivere, poi aggiunse: “Però migliori il suo italiano. Anzi, Lei li scrive poi li porta a me; io li aggiusto, senza cambiare minimamente il concetto e lei li fa pubblicare come al solito. Io li raccoglierò e presenterò una petizione al Podestà per la decisione”.
Così feci, molto rapidamente egli raccolse gli articoli, presentò la petizione e in brevissimo tempo (non come oggi) ebbe l'approvazione. Mi richiamò e mi disse: “Ora cerchi le adesioni; mi raccomando, per tutte e tre le specializzazioni” (cioè meccanica, elettrotecnica e tessitura, quest'ultima ancora viva e vegeta all'epoca). Perciò ogni sera, con la bicicletta di mio padre, di ritorno dal lavoro, andavo a visitare i diplomati del mio stesso anno di studio, quelli dell’anno precedente e quelli dell’anno successivo, per raccogliere adesioni. Molti aderirono e in men che non si dica il Prof. Strobino organizzò i corsi. Programma: orario dalle 18,00 alle 22,00, senza pausa intermedia, ore effettive di 60 minuti, dal lunedì al venerdì, per tre anni senza esami o interrogazioni. In pratica solo apprendimento senza necessità di sollecitazioni, non ne avevamo proprio bisogno! Tasse scolastiche? Una sciocchezza, è tutto dire (bravo il Podestà che diede immediatamente la sua approvazione a quei modici costi).
Primo anno: 57 iscritti; secondo anno: 27 iscritti; terzo anno: 7 iscritti. Falcidia dovuta prevalentemente all'enorme sacrificio richiesto. Cenare alle 23,30 o più tardi e disporre di poche ore di riposo prima di riprendere il lavoro (sveglia alle ore 7 o prima) non era facilmente sopportabile malgrado l'età. Nessun diversivo consentito! L'insegnamento comprendeva discussioni “plenarie” tra gli allievi, guidati dagli ottimi insegnanti; uno in particolare (si badi bene, abitava a 150 metri dalla scuola) che alla fine dell'ultima ora di lezione accompagnava il gruppo più numeroso fino al monumento continuando a correggere, se necessario, le nostre considerazioni o a dare ulteriori spiegazioni, una specie di Peripato legnanese. La materia ci entrava nel sangue.
C'è stato anche un caso poco piacevole, ma significativo della serietà e della rettitudine del Preside (notare il maiuscolo, per me dovuto). Inizio del primo anno, prima ora di lezione del corso di elettrotecnica. Vuoto assoluto, dopo tre lezioni il docente non aveva insegnato assolutamente nulla, noi eravamo in subbuglio e in tre, guidati da me (ero il “capetto”), andammo dal Preside. Io, forse perché il più noto del gruppo, gli manifestai con chiarezza il nostro disappunto, ma lui non sembrò convinto (almeno apparentemente) e quasi ci diede torto. Venne, però, in aula all'inizio della lezione successiva (cioè la quarta) e prese posto in alto nell'ultima fila, il docente disse subito: “interroghiamo qualcuno”; il Preside se ne andò immediatamente e alla fine delle lezioni (erano le 22) mi convocò e mi disse: “dalla prossima lezione il professor XXX YYY non ci sarà più, ora cercatevelo voi l'insegnante”.
Detto, fatto. Sia pure a fatica lo trovammo, era un ingegnere delle Industrie Elettriche di Legnano, guarda caso. Prima sua lezione, ci fece una domanda: “avete già fatto l'appello? No? Sta bene, oggi lo faccio io così ci conosciamo, dalla prossima lezione lo farete voi, io vengo qua per insegnare, non per fare l'appello”. Era favoloso per noi, non si perdeva un minuto, ci lasciava discutere liberamente alla lavagna, anche a gruppi, correggendoci quando opportuno. Imparavamo, eccome! Sarebbe da consigliare a qualcuno!
Per brevità concludo col risultato finale: dopo gli esami e l'ottenimento del diploma presso un istituto autorizzato, ognuno se ne andò per la sua strada, ma rimanemmo in contatto a lungo. Poi ci siamo dispersi, ma l'amicizia (che è un collante) ci ha tenuti uniti pur essendo lontani.
Ai 7 diplomati il destino (sic!) riservò in breve tempo gradite sorprese: 2 Direttori, 2 Dirigenti (di cui uno alla Ricerca, io), 2 molto ben quotati, 1 perso di vista per trasferimento in altra città.
Io ho tratto conclusioni che potrebbero non essere concordi con quelle degli esperti di oggi, ma se tenete conto della rapidità con la quale è stata presa la decisione nei nostri riguardi da parte delle autorità comunali in quel periodo critico, dell'efficienza del servizio reso a quei volonterosi giovani, dell'impegno dimostrato dal corpo insegnante e dei risultati ottenuti, altro non si può dire se non: ”ne è valsa la pena!“.
La mia intenzione è palese: ricordare a tutti, specialmente a coloro che ne sono coinvolti, le cose e le persone che hanno lasciato un segno che durerà nel tempo e che il loro mondo del lavoro, cioè l'insegnamento, è del tutto speciale. Lo esercitino al meglio per le nuove generazioni. Grazie.
Io posso essere un valido testimonio dei meriti a lui attribuibili, oltre quello qui raccontato e in aggiunta a quelli già noti. Non è tempo sprecato ritornarci sopra, tutt'altro; si scopre che talvolta si può fare meglio prendendo lo spunto proprio dai predecessori piuttosto che da certi illusi odierni fanatici dello “pseudoprogresso”. Grazie alla mia lunga e particolare esperienza di lavoro mi sono convinto che talora è meglio seguire i saggi consigli dei nonni. Anche Einstein, del quale io non so molto, ma so essere stato un grande scienziato, la pensava così; è ben nota la sua dichiarazione sul progresso come inteso attualmente, magari a scapito della saggezza e di una ovvia logica.
Mi riferisco all'epoca del preside Strobino: frequento la “Bernocchi”, periodo estivo, non vado in vacanza per problemi familiari, chiedo al Preside se posso dare una mano all'insegnante di meccanica per la riparazione del macchinario guastatosi durante l'anno scolastico. Acconsente e io mi do da fare. In seguito mi richiama per farmi una proposta: mi avrebbe trovato un'azienda disposta a “tenermi a balia” durante il periodo feriale poiché riteneva, giustamente, piuttosto povera l'attività presso l'officina della scuola. Detto fatto, mi presento alla prima delle aziende disponibili e, guarda caso, mi ritrovo in una fabbrica di freni motore usati per misurare la potenza erogata dai motori auto e avio proprio dove trovo un posto di lavoro, come detto qui di seguito. È una specie di anteprima dell'attuale tendenza delle scuole che sembra una novità, ma tale non è.
Siamo nel 1943, in pieno periodo bellico, concludo positivamente gli studi (cinque anni) presso la “Bernocchi”.
Per problemi di famiglia dovetti cercarmi un posto di lavoro rinunciando al proseguimento degli studi. Pianse mio padre al quale il Prof. Strobino aveva raccomandato di farmi continuare iscrivendomi all'università (Quale? Dove? Mezzi di trasporto? Spese, con l'aria che tirava…).
Io scelsi il tipo di attività che mi interessava di più (avio) e il Prof. Strobino mi diede una lettera di presentazione per il Direttore della Scuola di perfezionamento dell'azienda che avevo contattato. Non era una raccomandazione a mio favore, bensì un suggerimento a questo Direttore affinché mi tenesse d'occhio in quanto ero promettente. Intuii le sue intenzioni quando, dopo averla letta, fece fare una copia della lettera e me la diede; la tengo come ricordo e portafortuna perché vuol dire che ci aveva creduto, infatti nel tempo si vedrà la conferma della sua opinione.
Fui assunto e incominciai un ciclo di addestramento con programmati periodi di lavoro in vari reparti anche molto diversi, per oltre due anni. Nel frattempo venni incaricato di istruire i reduci della campagna di Russia, tutti senza una gamba (curati dalle donne russe abili nei casi di congelamento). Quindi per loro, solo lavori da sedentari, data la loro menomazione, intanto io imparavo e insegnavo! Tutti mi volevano un gran bene, insieme abbiamo subito il famoso bombardamento del 20 ottobre 1944.
Concretamente è stata un'esperienza indimenticabile ma, soprattutto, formativa, grazie anche alla mia curiosità; tutto mi interessava: veder costruire gli oggetti dei miei sogni (motori d'aviazione) e aiutare quei poveretti! Una vera lezione di vita! Ero pagato per imparare: il salario era di 1.08 lire/ora, cioè circa 10 lire/giorno, straordinari inclusi. Mia madre era tutta contenta, finalmente qualcosa di più in famiglia.
Avevo però una gran voglia di migliorare la mia preparazione di base e decisi, di mia iniziativa, di scrivere articoli che i giornali locali pubblicarono con piacere; in essi sostenevo la necessità di organizzare corsi di tipo universitario locali, sostitutivi di quelli non disponibili, per le ovvie ragioni dovute alla criticità del periodo bellico. Un giorno il Prof. Strobino, che mi conosceva bene, mi mandò a chiamare e mi fece una specie di interrogatorio; aveva raccolto i miei articoli e voleva essere sicuro di poter fare bene quanto io proponevo. Mi disse che l'idea era molto buona e che avrei dovuto continuare a scrivere, poi aggiunse: “Però migliori il suo italiano. Anzi, Lei li scrive poi li porta a me; io li aggiusto, senza cambiare minimamente il concetto e lei li fa pubblicare come al solito. Io li raccoglierò e presenterò una petizione al Podestà per la decisione”.
Così feci, molto rapidamente egli raccolse gli articoli, presentò la petizione e in brevissimo tempo (non come oggi) ebbe l'approvazione. Mi richiamò e mi disse: “Ora cerchi le adesioni; mi raccomando, per tutte e tre le specializzazioni” (cioè meccanica, elettrotecnica e tessitura, quest'ultima ancora viva e vegeta all'epoca). Perciò ogni sera, con la bicicletta di mio padre, di ritorno dal lavoro, andavo a visitare i diplomati del mio stesso anno di studio, quelli dell’anno precedente e quelli dell’anno successivo, per raccogliere adesioni. Molti aderirono e in men che non si dica il Prof. Strobino organizzò i corsi. Programma: orario dalle 18,00 alle 22,00, senza pausa intermedia, ore effettive di 60 minuti, dal lunedì al venerdì, per tre anni senza esami o interrogazioni. In pratica solo apprendimento senza necessità di sollecitazioni, non ne avevamo proprio bisogno! Tasse scolastiche? Una sciocchezza, è tutto dire (bravo il Podestà che diede immediatamente la sua approvazione a quei modici costi).
Primo anno: 57 iscritti; secondo anno: 27 iscritti; terzo anno: 7 iscritti. Falcidia dovuta prevalentemente all'enorme sacrificio richiesto. Cenare alle 23,30 o più tardi e disporre di poche ore di riposo prima di riprendere il lavoro (sveglia alle ore 7 o prima) non era facilmente sopportabile malgrado l'età. Nessun diversivo consentito! L'insegnamento comprendeva discussioni “plenarie” tra gli allievi, guidati dagli ottimi insegnanti; uno in particolare (si badi bene, abitava a 150 metri dalla scuola) che alla fine dell'ultima ora di lezione accompagnava il gruppo più numeroso fino al monumento continuando a correggere, se necessario, le nostre considerazioni o a dare ulteriori spiegazioni, una specie di Peripato legnanese. La materia ci entrava nel sangue.
C'è stato anche un caso poco piacevole, ma significativo della serietà e della rettitudine del Preside (notare il maiuscolo, per me dovuto). Inizio del primo anno, prima ora di lezione del corso di elettrotecnica. Vuoto assoluto, dopo tre lezioni il docente non aveva insegnato assolutamente nulla, noi eravamo in subbuglio e in tre, guidati da me (ero il “capetto”), andammo dal Preside. Io, forse perché il più noto del gruppo, gli manifestai con chiarezza il nostro disappunto, ma lui non sembrò convinto (almeno apparentemente) e quasi ci diede torto. Venne, però, in aula all'inizio della lezione successiva (cioè la quarta) e prese posto in alto nell'ultima fila, il docente disse subito: “interroghiamo qualcuno”; il Preside se ne andò immediatamente e alla fine delle lezioni (erano le 22) mi convocò e mi disse: “dalla prossima lezione il professor XXX YYY non ci sarà più, ora cercatevelo voi l'insegnante”.
Detto, fatto. Sia pure a fatica lo trovammo, era un ingegnere delle Industrie Elettriche di Legnano, guarda caso. Prima sua lezione, ci fece una domanda: “avete già fatto l'appello? No? Sta bene, oggi lo faccio io così ci conosciamo, dalla prossima lezione lo farete voi, io vengo qua per insegnare, non per fare l'appello”. Era favoloso per noi, non si perdeva un minuto, ci lasciava discutere liberamente alla lavagna, anche a gruppi, correggendoci quando opportuno. Imparavamo, eccome! Sarebbe da consigliare a qualcuno!
Per brevità concludo col risultato finale: dopo gli esami e l'ottenimento del diploma presso un istituto autorizzato, ognuno se ne andò per la sua strada, ma rimanemmo in contatto a lungo. Poi ci siamo dispersi, ma l'amicizia (che è un collante) ci ha tenuti uniti pur essendo lontani.
Ai 7 diplomati il destino (sic!) riservò in breve tempo gradite sorprese: 2 Direttori, 2 Dirigenti (di cui uno alla Ricerca, io), 2 molto ben quotati, 1 perso di vista per trasferimento in altra città.
Io ho tratto conclusioni che potrebbero non essere concordi con quelle degli esperti di oggi, ma se tenete conto della rapidità con la quale è stata presa la decisione nei nostri riguardi da parte delle autorità comunali in quel periodo critico, dell'efficienza del servizio reso a quei volonterosi giovani, dell'impegno dimostrato dal corpo insegnante e dei risultati ottenuti, altro non si può dire se non: ”ne è valsa la pena!“.
La mia intenzione è palese: ricordare a tutti, specialmente a coloro che ne sono coinvolti, le cose e le persone che hanno lasciato un segno che durerà nel tempo e che il loro mondo del lavoro, cioè l'insegnamento, è del tutto speciale. Lo esercitino al meglio per le nuove generazioni. Grazie.
01 novembre 2018