Non tutto sarà come prima
Ce ne accorgeremo quando il numero delle vittime non sarà più soltanto oggetto di statistiche e sarà studiato, invece, in rapporto all’ammontare di ricchezze fisiche e intellettuali che la pandemia ci ha strappato; sapremo allora quanto veramente abbiamo perduto.
Antonio Dentato
In questa pandemia tutte le generazioni hanno avuto le loro vittime; molte di quelle più anziane, maggiormente vulnerabili, avevano attraversato, giovanissimi, anche il flagello della seconda guerra mondiale. Con tanti anziani, sono state vittime di quest’offensiva da coronavirus: adulti, giovani, giovanissimi; e poi medici, infermieri, volontari, religiosi, addetti ai diversi servizi d’igiene e di sicurezza, militari. E nel conto dovranno essere messi anche gli ammalati bisognevoli di controlli periodici, di interventi urgenti che, a causa della pandemia, probabilmente hanno dovuto subire rinvii, ritardi, con conseguenze spesso altrettanto drammatiche. Entreranno nel bilancio come vittime collaterali del Covid-19. È sperabile, allora, che si prenda piena consapevolezza del rischio che corre il Paese se non si cambia passo, e che questi eventi costituiscano invece motivazioni per scelte politiche fondamentali: ora, mentre sulle fragilità economiche e sociali da tempo esistenti si è abbattuta la mannaia del contagio.
In tanta sofferenza, si è acceso, intanto, un sentimento che può offrire nuove prospettive. Per limitarci all’Europa, non possiamo non compiacerci del fatto che la Banca centrale europea (BCE) abbia aumentato di 600 miliardi il suo piano pandemico (Pepp) di acquisto di titoli, portandolo a 1.350 miliardi, cui fanno riscontro le proposte UE di finanziamenti finalizzati a investimenti e riforme, comprese quelle destinate alla transizione ecologica e digitale.
Forse non ancora è stato compreso da tutti che questo è un salto in avanti nella condivisione del principio di solidarietà come valore collettivo. Per quanti ancora restano dubbiosi o manifestamente avversano questa decisione, dovrebbe essere chiaro, invece, che essa definisce la frontiera tra l’Europa di “prima della pandemia” e l’Europa del “dopo la pandemia”. È una scelta politica che fa avanzare nel concreto gli obiettivi di integrazione economica e sociale dell’Unione, e apre a nuove forme di accesso alla solidarietà sociale al di là dei confini statuali. Ci auguriamo, perciò, che tutti gli Stati Ue la approvino. Essa coglie, a nostro avviso, il senso di un insegnamento di alto valore morale, quale è stato espresso mentre imperversava più violenta l’aggressione del virus: “Nessuno si salva da solo”. “Siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa. Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda. Su questa barca… ci siamo tutti". (Cfr. Vatican News, 27 marzo 2020. Omelia di Papa Francesco che prega solo in piazza San Pietro, deserta). Sono fatti e moniti rispetto ai quali la politica è chiamata ad assumere decisioni importanti e urgenti. Due sono quelle che, riteniamo, dovrebbero fare da denominatore comune e qualificare tutte le altre.
1. La protezione dell’ambiente
Nel 2012 lo scrittore e divulgatore scientifico statunitense David Quammen pubblicò un libro dedicato alla genesi di una pandemia. Elencandone le cause, spiegava il fenomeno del “salto di specie” dei virus. Diceva: “la distruzione degli ecosistemi sembra avere tra le sue conseguenze la sempre più frequente comparsa di patogeni in ambiti più vasti di quelli originari. Là dove si abbattono gli alberi e si uccide la fauna, i germi del posto si trovano a volare in giro come polvere che si alza dalle macerie. Un parassita disturbato nella sua vita quotidiana e sfrattato dal suo ospite abituale ha due possibilità: trovare una nuova casa, un nuovo tipo di casa, o estinguersi”. (Cfr. D. Quammen, Spillover, New York, W.W. Norton & Company, 2012 - trad. it. Milano, Adelphi, 2014).
Il virus di cui raccontiamo non si è estinto; anzi, è vivo e ha trovato casa tra noi.
Seguendo questa osservazione scientifica, alcuni anni dopo, Bill Gates (Ted, 2015), creatore di Microsoft, lanciò una profezia; disse: “Se qualcosa ucciderà 10 milioni di persone, nei prossimi decenni, è più probabile che sia un virus altamente contagioso piuttosto che una guerra. Non missili, ma microbi. In parte il motivo è che abbiamo investito cifre enormi in deterrenti nucleari. Ma abbiamo investito pochissimo in un sistema che possa fermare un'epidemia. Non siamo pronti per la prossima epidemia”. L’epidemia è arrivata. E gli Stati si son fatti trovare impreparati. Hanno cercato di fermarla “a mani nude”, nel senso che anche gli operatori sanitari di prima linea non erano stati dotati dei necessari mezzi di protezione di prima urgenza. Forse la scienza troverà il modo di sconfiggere questa pandemia. Ma per l’avvenire? Pur potendo contare su modelli molto avanzati, e su proiezioni eseguite mediante complesse equazioni matematiche, gli scienziati avvertono che è molto difficile far previsioni sull’insorgenza di nuove. Dice la scienziata Ilaria Capua: “[…] fare previsioni su cosa succederà nel prossimo futuro: non sarebbe serio”, (V. I. Capua. Il dopo: Il virus che ci ha costretto a cambiare mappa mentale. Ed. Mondadori, 2020, p.7). E avverte (p.102): “Le città italiane si allagano, le foreste australiane bruciano, i ghiacciai argentini si sciolgono, gli oceani si scaldano, gli insetti muoiono e i virus saltano da una specie all’altra: tutto grazie alle nostre azioni. Rifiutarsi di vedere che ci si ritorcono contro è come voltarsi dall’altra parte”.
2. La ricerca scientifica
Diciamolo francamente, dovunque nel mondo, le tante vittime non sono solo conseguenza dell’attacco virale: un così gran numero è conseguenza di mancanza di prevenzione. Sono mancati mezzi protettivi adeguati, strutture idonee, come detto in precedenza. D’altra parte, tutto quello che si sa a proposito della insorgenza di virus e di malattie infettive è che i risultati di ogni studio non forniscono risposte definitive, valide per sempre. Perché le tipologie di virus e le loro potenzialità cambiano. Il che domanda continue e nuove ricerche, a livello di ciascun Paese, a livello europeo e mondiale. Fare avanzare la conoscenza in questo campo, e al più alto livello, è di primaria importanza per evitare che durante le epidemie molti cadano vittime di cure fasulle propagandate da fake news, ma soprattutto per allargare la conoscenza dei rischi che la società corre quando vengono superati i limiti dello sviluppo, diventando incompatibile con la tutela dell’ambiente e della salute degli esseri viventi.
Per fermarci al tema delle epidemie, ognuno può comprendere quanto sia importante avanzare con studi continuativi sugli agenti patogeni, sui test diagnostici, individuali e di massa; mettere a punto modelli matematici previsionali in rapporto ai diversi scenari che possono presentarsi e con riferimento alle condizioni sociali, economiche e culturali in cui le epidemie si presentano. La ricerca scientifica è un campo che domanda investimenti rilevanti in tutti i settori. E quelli relativi alla protezione sanitaria, la politica dovrebbe scriverli al primo posto della lista.
Possiamo immaginare un mondo che si lascia sorprendere sempre impreparato, non diciamo rispetto alla tipologia dei virus che è imprevedibile e mutevole, ma sul piano organizzativo? Possiamo essere costretti, ogni volta, ad agire come in “stato di guerra” e cercare, in affanno, rimedi di emergenza? Ragionevolmente, la risposta è no. E, allora, è nei “tempi di pace”, cioè quando non siamo nella contingenza infettiva, che la politica deve farsi carico di un preciso obbligo di prevenzione e mettere al primo posto dei bilanci pubblici i finanziamenti necessari per strumenti e infrastrutture sanitarie. A cominciare dalle dotazioni fondamentali e necessarie al personale sanitario che opera in “prima linea” e che deve fronteggiare le prime manifestazioni epidemiche.
La politica dell’Unione europea per la ricerca
Per riferirci all’ Europa, gli Stati nient’altro devono fare che allineare le politiche nazionali alle indicazioni politiche dell’UE che da anni punta all’obiettivo di spesa per la ricerca del 3% del Pil. Obiettivo raggiunto finora, purtroppo, solo da pochi Paesi.
A livello europeo si guarda alle attività di ricerca e innovazione come azioni trasversali alla realizzazione del progetto Green Deal europeo (obiettivi UE per la sostenibilità ambientale). E’ questo significa che le iniziative dei singoli Paesi dovranno essere allineate anche al Regolamento che istituisce, a livello dell’Ue, la tassonomia green, cioè un sistema di classificazione unificato degli investimenti secondo criteri di sviluppo sostenibile. Va appena segnalato che questo Regolamento è stato approvato in seduta plenaria dal Parlamento europeo. Ora la Commissione dove definire una serie di criteri applicativi entro la fine del corrente anno.
Conclusione
Il programma Ue di aiuti finanziari per fronteggiare l’emergenza sanitaria e sostenere la ripresa economica, non seguirà le disposizioni valide per “i tempi di pace”. La procedura ragionevolmente cambia mentre ci battiamo contro il “nemico invisibile” e ricerchiamo la crescita economica perduta. Diventa più flessibile, di conseguenza i nuovi finanziamenti non saranno assoggettati ai precedenti “condizionamenti”. Ma, attenzione, ne resta uno, imprescindibile: i soldi non saranno resi disponibili se non in presenza di progetti credibili. Progetti chiari nei tre requisiti essenziali: obiettivi, costi e tempi certi. Anche questa non è una condizione nuova: si tratta però di attivare una pratica cui non sempre mostriamo sufficiente attenzione. Purtroppo. Rispetto al prima, per effetto dell’emergenza sanitaria che ha riacceso la questione ambientale, è diventata ancora più evidente la profonda interdipendenza fra questa e i sistemi economici; ha reso evidente che non è più accettabile uno sviluppo globale senza regole. E, pertanto, riteniamo che ogni progetto vada pensato, studiato e lavorato trovando il necessario equilibrio tra crescita economica e sopportabilità ambientale. In rispetto di quest’equilibrio tutti trovano la loro continuità e forza coesiva. Fondamentale dunque, è tenere ben presente che il nostro benessere dipende da come gestiamo la nostra vita sul pianeta terra, a salvaguardia del quale sono le nuove generazioni che con più forza chiedono l’assunzione di nuove strategie. (vedi in questa Rivista, 1 gennaio 2020, l’articolo di Bruno Villani, Presidente ALDAI-Federmanager: “Sviluppo Sostenibile: chiave del nostro futuro”). Come hanno tenuto a ribadire i giovani partecipando al meeting degli “Stati Generali dell'Economia” indetto dal Governo (Roma, 12-21 giugno) dove hanno espresso il profondo convincimento che la transizione ecologica è l’unica strada percorribile per rialzarci dalla crisi economica e, al contempo, prevenire nuove e più terribili tragedie.
Conveniamo anche noi, perciò, con quanti sostengono che la questione ecologica non può essere l’obiettivo di un “progetto” a sé stante. In quanto “misura” dello sviluppo sostenibile di lungo periodo, la questione ecologica deve esserne, invece, il “metro” di riferimento di tutti e di ciascuno. Strettamente connesso a tale parametro è l’altro capitolo che, a nostro avviso, deve diventare vincolante nei progetti d’investimento pubblici e privati: in particolare – vale la pena ripeterlo – è il capitolo relativo alla spesa per ricerca e innovazione nel campo sanitario, “per consentire alla scienza di capire quali creature sono più intimamente connesse di altre e in che modo, e quali risultati si ottengono se si cambia o disturba l’equilibrio dell’ecosistema." (Cfr. D. Quammen: Spillover, cit.).
A questo riguardo, come ci siamo sforzati di dire fin qui, è di fondamentale importanza la coerenza degli investimenti in materia di tutela ambientale e di ricerca e innovazione dei singoli Stati con le relative politiche dell’Ue.