La rivalutazione delle pensioni: un lungo percorso di ingiustizie e discriminazioni

Nonostante il miglioramento dei dati economici nazionali, il Governo continua a penalizzare persone in pensione: una minoranza di cittadini soggetta a continui attacchi. Rivalutazioni bloccate, quando non irrisorie, a sostegno di un assistenzialismo senza sbocchi e fuori controllo. Diventa sempre più necessaria e urgente la separazione tra previdenza e assistenza

A cura della redazione

Il Comitato Pensionati ALDAI-Federmanager, allargato anche alla partecipazione esterna, si è riunito a Milano lo scorso 13 settembre. 
Giovanni Pagnacco, Presidente ALDAI-Federmanager, intervenuto da remoto, nel rivolgere un saluto ai partecipanti, ha messo in evidenza l’importanza della questione pensionistica e delle molteplici problematiche connesse. Ha espresso l’intenzione di avviare, già nelle prossime settimane, un dialogo diretto con la Dirigenza centrale di Federmanager e CIDA, con l’obiettivo di contribuire, attraverso un forte impegno di ALDAI, a iniziative efficaci per tutelare i trattamenti pensionistici.
“Non servono proclami, ma azioni concrete”, ha dichiarato Pagnacco. “Sono convinto che, grazie all’impegno collettivo dell’Associazione e alla collaborazione attiva degli iscritti, saremo in grado di affrontare e superare le sfide che ci attendono, mantenendo i valori che ci contraddistinguono e rappresentano la nostra vera forza”.

La Presidente del Comitato Pensionati, Silvana Menapace, ha aperto i lavori sottolineando l’importanza di questi incontri come momenti fondamentali per alimentare un dialogo costante con gli iscritti e tutti coloro che si identificano con l’Associazione ALDAI-
Federmanager. Nel suo intervento, Menapace, dopo aver ringraziato i partecipanti, ha dato un primo indirizzo al dibattito, mettendo in evidenza l’importanza della recente Ordinanza emessa dalla Corte dei Conti, sezione Toscana, richiamando particolare attenzione sul fatto che è stata emessa da un giudice donna. Un dettaglio, ma significativo.
Rimandando all’approfondimento successivo di Schianchi, Menapace ha introdotto brevemente i temi principali su cui si basa l’Ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale, perché si pronunci sulla questione di legittimità delle norme che, per gli anni 2023 e 2024, hanno peggiorato il meccanismo di adeguamento automatico delle pensioni al costo della vita.
Concludendo, ha poi sottolineato l’importanza di fare chiarezza sulla questione pensionistica e ha, ancora una volta, ribadito l’esigenza di recuperare la fiducia dei pensionati/contribuenti nelle pubbliche istituzioni. Essi si aspettano una rivalutazione equa delle pensioni, che sia in grado di compensare la perdita del potere d’acquisto per effetto dell’inflazione.

Il Direttore Paolo Ferrario ha coordinato la partecipazione al dibattito, in presenza e da remoto, assicurando che la sintesi dei lavori e relativa documentazione saranno poste all’attenzione dei vertici di Federmanager e CIDA.

Mino Schianchi, Consigliere ALDAI-Federmanager ha svolto la relazione introduttiva che riportiamo di seguito.
***
Care colleghe e cari colleghi, 
buongiorno.

Ci troviamo alla vigilia della formazione della Legge di Bilancio 2025, un momento cruciale in cui verranno prese decisioni significative anche per le nostre pensioni: in particolare per quanto riguarda la rivalutazione rispetto all’inflazione. Dobbiamo quindi prepararci a difendere con fermezza i nostri diritti e interessi, proprio come fanno tutte le altre categorie sociali.
Consentitemi, allora, di introdurre il dibattito di questa riunione cominciando dall’evoluzione della perequazione delle pensioni negli ultimi 25 anni, e concludendo sulle prospettive del prossimo anno, che, come dirò alla fine, non si presentano come un giardino di rose e fiori.

Evoluzione normativa perequazione
La normativa che regola la rivalutazione delle pensioni in base all’inflazione ha subito molte modifiche nel tempo. La Legge n. 448/1998 ha introdotto, dal 1999, un nuovo meccanismo di rivalutazione automatica delle pensioni per recuperare l’inflazione. Questo sistema, ulteriormente perfezionato con la legge n. 388/2000, prevede che le pensioni siano rivalutate al 100% dell’inflazione fino a 4 volte il trattamento minimo (TM), al 90% per le pensioni comprese tra 4 e 5 volte il TM, e al 75% per quelle superiori a 5 volte il TM. Da notare che, fino al 2011, il sistema era basato su aliquote decrescenti a “scaglioni”, ma dal 2012 si è passati a un sistema a “fasce” di importo, sistema in cui viene applicata un’unica aliquota sull’intero importo della pensione. Sebbene nel 2022 ci sia stato un breve ritorno al sistema degli “scaglioni”, in questi ultimi due anni è stato ripristinato quello “a fasce” con conseguente perdita di reddito significativa per i pensionati.

Le misure di emergenza
Negli ultimi decenni, i vari Governi hanno giustificato le deroghe dal sistema “standard”, descritto prima, con diverse motivazioni: dalla necessità di sostenere le pensioni più basse, all’introduzione di pensioni anticipate, fino alle pressioni internazionali per contenere la spesa pensionistica. 
Il vero motivo di queste decisioni è stata sempre l’emergenza finanziaria
Chiariamo: in situazioni di emergenza, le deroghe alle regole standard possono essere comprensibili e accettabili. Tuttavia, quando queste deroghe si ripetono con continuità, le preoccupazioni dei pensionati che qualcosa non vada sono più che giustificate. Perché l’emergenza ha trasformato la norma che regola il meccanismo di restituzione dell’inflazione in un sistema nuovo, eccezionale, che anno dopo anno danneggia una minoranza di cittadini pensionati che non hanno nessuna possibilità di recuperare le perdite subite né sufficiente forza e strumenti di reazione (contrattazione, manifestazioni pubbliche, sciopero). 

L’applicazione della perequazione negli ultimi 25 anni
Anche se le leggi di bilancio ancor oggi continuano a fare riferimento alla Legge n. 448/1998, nella realtà questa legge è stata disattesa da tempo. Da oltre vent’anni, infatti, altre norme hanno prevalso, soprattutto per quanto riguarda le pensioni superiori a 4 volte il minimo INPS. Questo ripetuto riferimento alla Legge n. 448/1998 è quantomeno irrilevante perché il meccanismo applicato è completamente stravolto e la norma è costantemente modificata nelle percentuali di valorizzazione. Si procede mediante un sistema normativo arbitrario, pressoché senza limiti prestabiliti, perché tempo e misure sono affidate alla sola discrezionalità del Governo di turno che, anno dopo anno, stabilisce se e in che misura ai pensionati con trattamenti superiori a 4 volte il minimo possa essere concesso l’adeguamento pensionistico.  
È pur vero che sono passati molti anni dalle promesse e dagli accordi del 1998, ma neppure il protocollo firmato tra Governo e Parti Sociali del 28 settembre 2016 è stato rispettato. In tale accordo era stato stabilito che sarebbe stato ripristinato il meccanismo della Legge n. 388/2000 a partire dal 2019, prevedendo anche il ritorno al sistema di perequazione per “scaglioni di importo” e l’abbandono di quello basato sulle “fasce di importo”. Ma nessuno si è fatto carico di far rispettare questo accordo. Lo sforzo massimo è stato quello di mettere al riparo le pensioni fino a 4 volte il minimo, pensioni che riguardano 12.550.000 pensionati su 16.100.000, il 77,9% del totale.
Chi sta pagando il prezzo di questa situazione sono 3.550.000 pensionati. Una minoranza, dunque, che viene sistematicamente discriminata dopo aver pagato per una vita intera elevati contributi per guadagnarsi una pensione più dignitosa. Questo modo di operare dei Governi viene sostenuto da una narrativa ingiusta, e soprattutto ostile, che dipinge i titolari di pensioni medio-alte come “privilegiati”. Ormai le pensioni più elevate sono raccontate come un disvalore sociale. In realtà questi pensionati sono vittime di un trattamento discriminatorio e continuano a subire disposizioni ingiuste. 
E veniamo ai giorni nostri. Il sistema di perequazione delle pensioni introdotto per gli anni 2023 e 2024 è il peggiore mai applicato. Il Governo ha infatti deciso di passare da tre “scaglioni” a sei “fasce”. Questa drastica riduzione dell’indicizzazione, giustificata come una misura necessaria per combattere l’inflazione, ha ulteriormente accentuato la perdita del potere d’acquisto delle pensioni.

Come si concilia tutto questo con i principi di equità e di non discriminazione che leggiamo nella Costituzione? Sappiamo bene che la maggior parte dei ricorsi contro le deroghe dei Governi al sistema “standard” è stata respinta dalla Corte Costituzionale che, utilizzando il criterio del bilanciamento complessivo degli interessi costituzionali, ha, di fatto, sostenuto le ripetute misure depressive dei Governi, legittimando il sacrificio degli interessi dei pensionati. 
Bene hanno fatto le organizzazioni sindacali della dirigenza e delle alte professionalità e i pensionati interessati che non si sono dati per vinti e hanno presentato ancora nuovi ricorsi contro le norme della Manovra di Bilancio 2023-2024 riguardanti la perequazione delle pensioni. 
Abbiamo appreso dalla stampa che il 6 settembre, a seguito di un ricorso presentato da un collega pensionato, la Corte dei Conti, sezione Toscana, ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale delle norme riguardanti la rivalutazione delle pensioni stabilite nella Legge di Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e Bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025. 

Mi pare utile riferire su alcune motivazioni importanti contenute nell’Ordinanza del giudice contabile:
  • L’Ordinanza evidenzia che, al momento della promulgazione della Legge di Bilancio, non sussisteva l’emergenza finanziaria e che la riduzione dell’adeguamento delle pensioni, introdotta per la prima volta in una manovra di bilancio espansiva, aveva lo scopo di finanziare misure necessarie sia per affrontare l’emergenza sanitaria, sia per sostenere la ripresa economica successiva. Tuttavia – spiega il giudice – si nota una contraddizione tra l’obiettivo di sostegno e la decisione di limitare l’adeguamento delle pensioni all’inflazione, penalizzando così una delle categorie più vulnerabili: i pensionati. Peraltro, i tagli alla rivalutazione delle pensioni sono stati usati per finanziare interventi minori in ambito lavorativo, familiare e sociale.
  • Il giudice contabile mette, poi, in chiara evidenza che, rispetto a chi lavora, i pensionati hanno meno possibilità di proteggersi dall’inflazione o di recuperare le perdite. Per questo motivo, il loro potere d’acquisto dipende quasi interamente dal meccanismo di indicizzazione delle pensioni. Va tenuto conto che, in fondo, la capacità di proteggere le pensioni dall’inflazione è uno dei principali vantaggi di un sistema previdenziale pubblico.
  • Nell’Ordinanza si sottolinea, ancora, che penalizzare i pensionati con trattamenti più elevati significa danneggiare non solo le loro aspettative economiche, ma anche svalutare la loro dignità. Tenuto conto delle modifiche peggiorative del meccanismo di adeguamento, le pensioni più alte non vengono considerate dal legislatore come un giusto riconoscimento per l’impegno e le capacità dimostrate durante la vita lavorativa, ma vengono trattate come un privilegio, e, pertanto, sacrificabili in nome di un’asserita equità tra generazioni.
  • L’Ordinanza evidenzia, infine, che il lavoro, come contributo al progresso sociale, richiede il rispetto del principio di proporzionalità tra retribuzione e qualità del lavoro svolto. Questo principio deve essere mantenuto anche in favore dei pensionati, al fine di tutelare la loro dignità, che non va sminuita una volta conclusa l’attività lavorativa.
In sintesi, per la Corte dei Conti, le pensioni sono frutto del lavoro. E penalizzarle da un certo importo in su significa «disincentivare il lavoro regolare, favorire il nero». Significa mandare un messaggio sbagliato ai giovani: non vale la pena studiare e aspirare a lavori ben retribuiti, anche dirigenziali, se poi la pensione sarà tagliata. Per il Governo del “merito” un altolà non da poco.
 
La perequazione del prossimo anno
Arrivati a questo punto, guardando quello che è accaduto finora, dobbiamo portare l’attenzione sull’impostazione del Bilancio 2025, partendo da due fatti importanti: 
  • Primo: alla fine del 2024 il tasso di inflazione medio sembra aggirarsi intorno all’1,6%. 
  • Secondo: stando alle dichiarazioni di fonte governativa, leggiamo che il Governo rivendica i molti successi ottenuti nel corso dei due anni alla guida del Paese sul piano economico, finanziario sociale. In particolare:
    • crescita del reddito reale delle famiglie italiane, secondo i dati OCSE il reddito reale delle famiglie è aumentato del 3,4%, il più forte incremento tra tutte le economie del G7.
    • Aumento delle retribuzioni orarie, l’indice delle retribuzioni orarie è salito del 3,1% nel 2023.
    • Miglioramento dei tassi di occupazione, i tassi di occupazione sono cresciuti, con un calo significativo della disoccupazione, soprattutto giovanile.
    • Inflazione sotto controllo, il Governo sottolinea che l’inflazione è sotto controllo.
    • Incremento delle entrate tributarie e contributive, da gennaio a maggio 2024, le entrate tributarie e contributive hanno registrato un incremento di oltre 21 miliardi di euro, grazie anche all’utilizzo di nuove tecnologie per il monitoraggio dei pagamenti e l’incrocio dei dati.
A fronte di questi risultati, non potremmo che rallegrarci, perché descrivono un’Italia in buona salute, un Paese che è uscito dalle tante emergenze. In questo clima dovremmo aspettarci anche noi una svolta positiva. I dati che sono stati rivendicati potrebbero finalmente permettere di ripristinare il meccanismo standard di rivalutazione a scaglioni delle pensioni: 100%, 90%, 75%, garantendo ai pensionati ciò che spetta loro di diritto. Ma non è così. Abbandonate ogni aspettativa! I proclami dei buoni risultati economici, finanziari e sociali non valgono per noi. Per noi hanno un altro significato, almeno stando a una dichiarazione della Presidente del Consiglio della settimana scorsa, quando ha detto che in questi due anni, la rivalutazione al 120% per le pensioni minime è stata ottenuta facendo crescere di meno le pensioni che erano molto alte, un’opera secondo me equa, – ha detto Meloni – che continueremo a fare perché sicuramente queste persone sono quelle che hanno maggiore bisogno di aiuto da parte dello Stato”. 
Questo significa che la supervalutazione delle pensioni minime, effettuata gli scorsi 2 anni, sarà ripetuta quest’anno e che le pensioni superiori a 4 volte il minimo subiranno lo stesso destino degli scorsi 2 anni: rivalutazioni irrisorie. Una scelta in perfetta linea con la ricerca del consenso elettorale, anche a costo delle più macroscopiche ingiustizie e discriminazioni che il contenuto dell’Ordinanza della Corte dei Conti toscana mette in grande evidenza. Perché si tratta di provvedimenti che stravolgono l’essenza del nostro sistema pensionistico. In sostanza si prendono i soldi della previdenza e si trasformano in soldi per l’assistenza. A parte il fatto che non esiste un’anagrafe nazionale dell’assistenza, per cui i soldi vanno a finire anche nelle tasche di chi non ne ha diritto: abusivi, imbroglioni, evasori, lavoratori in nero, e chi più ne ha più ne metta, ma qui si tratta di un fatto abnorme anche sul piano costituzionale. Perché l’assistenza è una manifestazione, un’espressione della solidarietà. E i doveri di solidarietà obbligano tutti i cittadini, non soltanto i pensionati. I soldi dell’assistenza vanno presi dunque dalla fiscalità generale, non esclusivamente dalle tasche dei pensionati. Il fatto di tenere insieme, nello stesso calderone di bilancio, assistenza e previdenza è proprio l’astuta posizione della politica per non mollare la presa. In sostanza per avere mano libera e spostare i soldi dal capitolo previdenza al capitolo assistenza senza incontrare ostacoli sul piano delle procedure contabili.
Insomma, finita l’emergenza ancora una volta saremo noi, una minoranza di pensionati, ad accollarci l’assistenza, in una logica tutta fuori controllo che risponde a un solo criterio: chi ha lavorato e versato i contributi, chi ha pagato e paga le tasse deve mantenere non solo chi ha veramente bisogno ma anche tutti gli scrocconi e abusivi della previdenza. Questi sono molti e, soprattutto, sono una grande massa di elettori. Una vera mostruosità giuridica e morale rispetto alla quale è sperabile vi sia, finalmente, una chiara e definitiva presa di posizione politica e sindacale. 

Conclusione
Concludo richiamando, a nome di tutti voi, l’attenzione e l’impegno dei vertici della nostra Organizzazione perché tengano in buona evidenza la deriva che sta prendendo la nuova manovra di bilancio e si impegnino nel contrastare i provvedimenti che, ancora una volta, si stanno preparando contro noi pensionati.
Diciamo finalmente basta a promesse non mantenute e a continui sacrifici imposti a noi pensionati! Come ha detto il collega Marco Panti, il ricorrente alla Corte dei Conti: “Abbiamo lavorato una vita. Noi pensionati non possiamo diventare il bancomat dello Stato”.

* * *
IL DIBATTITO
Agli interventi introduttivi sono seguite numerose domande a cui hanno risposto Schianchi e Menapace. Di seguito una breve sintesi degli argomenti trattati nel dibattito.
La relazione introduttiva di Schianchi ha riscosso ampio consenso, mettendo in evidenza il suo impegno quotidiano nella difesa dei pensionati. 
Un primo intervento ha riguardato l’iniqua distribuzione dell’Irpef. In Italia, infatti, quasi il 90% di questa imposta è a carico di pensionati e lavoratori, intrappolati in un sistema fiscale che sembra progettato apposta per gravare su di loro. A peggiorare ulteriormente la situazione ci sono i continui tagli alle cosiddette “pensioni d’oro”, una definizione in senso dispregiativo, utilizzata ad arte per suscitare disprezzo e ostilità verso i pensionati. Di fronte a queste dinamiche, si è discusso anche di possibili manifestazioni pubbliche al fine di rendere visibile un più forte contrasto alla deriva di politiche continuamente contro i pensionati. Peraltro, una minoranza di cittadini. A riguardo sono state prese in considerazione le difficoltà organizzative e di partecipazione. Proprio per questo la Dirigenza di CIDA e Federmanager ha deciso di puntare su una strategia considerata più efficace: i ricorsi, promuovendone diversi davanti ai Tribunali ordinari e alla Corte dei Conti, con l’obiettivo di far rimettere alla Corte Costituzionale la questione di legittimità delle misure che colpiscono le pensioni superiori a quattro volte il minimo INPS. L’intento è chiaro: ottenere la dichiarazione di illegittimità costituzionale di quei provvedimenti che, anno dopo anno, penalizzano queste pensioni. Si spera che, finalmente, questi ricorsi portino al riconoscimento non solo delle singole perdite annuali, ma anche dell’effetto di trascinamento cumulato delle perdite che si stratificano nel tempo, aggravando in modo significativo la situazione economica di molti pensionati. Proprio per questo motivo, il percorso dei ricorsi è considerato fondamentale. 

Infine, è stata menzionata anche la questione dei contributi di solidarietà. La Corte dei Conti ha chiarito da tempo che, questi “contributi”, sia pure formalmente fuori dal perimetro dell’Irpef, operano come tale e con questa s’intrecciano, aumentando ulteriormente, così, il carico fiscale dei pensionati che devono pagarli. 
Anche la proposta di una class action è stata affrontata, ma è stato anche osservato che stante le procedure da seguire, la Dirigenza della nostra Organizzazione ha ritenuto praticabile la presentazione di ricorsi selettivi, scegliendo casi più esemplari che potrebbero portare pronunciamenti favorevoli. 

Nel corso del dibattito sono pervenute due informazioni importanti:
  1. CIDA ha chiesto ai legali incaricati dei ricorsi da essa sostenuti di esaminare l’Ordinanza emessa dalla Corte dei Conti della Toscana. Il loro parere è molto positivo: l’ordinanza riprende e rafforza le stesse posizioni sostenute da CIDA e potrà quindi essere utile nei giudizi sui ricorsi ancora pendenti.
  2. La Corte dei Conti della Campania, con un’ordinanza dell’11 settembre, ha adottato la stessa decisione della Corte dei Conti di Firenze, rimettendo gli atti alla Corte Costituzionale.

Le conclusioni dei lavori del Comitato Pensionati di Milano si possono così riassumere 
  • Il Comitato ha espresso piena condivisione alla relazione introduttiva.
  • Ha accolto con grande soddisfazione il riconoscimento, da parte di alcune sezioni regionali della Corte dei Conti, delle motivazioni espresse nei ricorsi presentati dai pensionati contro le misure che peggiorano il meccanismo di adeguamento delle pensioni all’inflazione.
  • I ricorsi sostenuti dalle organizzazioni dei pensionati avevano l’obiettivo di evidenziare non solo le perdite economiche annuali, ma soprattutto l’effetto cumulativo di queste perdite, che si sommano anno dopo anno, con un impatto crescente sulle pensioni.
  • Il Comitato ha espresso profondo sconcerto nel constatare che, nonostante i successi economici e finanziari rivendicati dal Governo negli ultimi due anni, non ci sia stato alcun beneficio concreto per i pensionati, per i quali si annunciano solo provvedimenti che ridurranno ulteriormente il potere d’acquisto dei loro assegni.  

Necessità di maggior impegno
Sulla base di queste osservazioni, il Comitato Pensionati di Milano ha, infine,  ribadito  l’urgenza di un sempre più forte  impegno da parte dei vertici di Federmanager e CIDA, perché nelle sedi della politica facciano valere le regioni dei pensionati contro gli annunciati provvedimenti volti a deprimere ulteriormente il potere d’acquisto delle pensioni.


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