Conti INPS in attivo. Cogliere la sfida della separazione tra previdenza e assistenza

La spesa previdenziale italiana, pari al 16,3% del PIL, è tra le più alte in Europa, ma una parte significativa è dovuta alle prestazioni assistenziali. Separare queste due voci potrebbe ridurre il carico pensionistico, portandolo in linea con la media UE. Si auspica maggiore trasparenza e sensibilità politica per realizzare finalmente una separazione necessaria e che noi chiediamo da sempre

Mino Schianchi

Presidente Comitato pensionati ALDAI-Federmanager


Il 23 settembre 2024 è stato presentato il XXIII Rapporto annuale dell'INPS (anno di riferimento 2023): un documento essenziale per comprendere e analizzare le dinamiche previdenziali, sociali ed economiche che delineano il quadro attuale dell'Italia. Il Presidente dell'Inps, Gabriele Fava, ha posto l’accento sul risultato di esercizio positivo per il 2023, pari a 2.063 milioni di euro, evidenziando con soddisfazione che per il terzo anno consecutivo il bilancio dell’Istituto chiude in attivo. In tal modo, dice, si potranno affrontare le sfide future. Un dato che, però, solleva dubbi sulla reale tenuta del sistema previdenziale nel lungo periodo. Il semplice equilibrio di bilancio potrebbe non essere sufficiente a garantire la sostenibilità futura del sistema, in un contesto di invecchiamento della popolazione e crescente domanda di servizi assistenziali. E’ questo l’argomento sul quale intendiamo soffermarci: la crescente domanda di servizi assistenziali.
Perché, nel corso degli anni, l’Istituto è stato caricato di una serie crescente di prestazioni. Il Rapporto riferisce che, nel 2023, le nuove prestazioni previdenziali sono diminuite del 4,7%, quelle assistenziali, al contrario, sono aumentate del 5,7%. Per dirla chiaramente, negli ultimi anni i Governi hanno progressivamente caricato la gestione dell’INPS di quasi tutte le nuove misure assistenziali introdotte per fronteggiare le frequenti crisi che hanno colpito le famiglie.
Una richiesta di servizi assistenziali in continuo aumento, dunque, i cui costi ricadono nel bilancio dell’INPS, e che vanno sotto il nome di spesa pensionistica e Gestione degli Interventi Assistenziali (GIAS). 

Nel 2021, l’ultimo anno per cui vi sono dati confrontabili a livello europeo, la spesa previdenziale e assistenziale italiana si è attestata al 16,3% del prodotto interno lordo (PIL); un livello inferiore solo a quello della Grecia, a fronte di una media europea del 12,9%. Il Rapporto spiega le cause del maggior livello di spesa rispetto agli altri Paesi UE. Ne elenca due: 1) l’età effettiva di accesso alla pensione di vecchiaia è ancora relativamente bassa a causa dell’esistenza di numerosi canali di uscita anticipata dal mercato del lavoro, anche se l’età legale è a 67 anni; 2) le pensioni sono, in media, generose e infatti il tasso di sostituzione della pensione rispetto all’ultima retribuzione percepita prima del pensionamento è tra i più elevati in UE, quasi 15 punti percentuali sopra la media europea. Per parte nostra ci limitiamo a osservare che, tra le cause ne manca una e riteniamo che abbia il suo peso.  Se andiamo a leggere il capitolo che descrive l’azione dell’INPS attraverso i suoi bilanci, troviamo che: "I trasferimenti dal Bilancio dello Stato e delle Regioni affluiti all’Istituto tramite la Gestione degli Interventi Assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali (GIAS) evidenziano un incremento di 7.428 milioni, rispetto al precedente esercizio, raggiungendo 164.432 milioni. Le misure che hanno maggiormente concorso a tale incremento sono rappresentate dall’Assegno Unico e Universale, dall’incremento dei trasferimenti statali per sgravi contributivi e dalla copertura degli oneri pensionistici della Cassa pensionistica dipendenti Stato (CTPS). Si ricorda che la gestione ha la finalità di assicurare la copertura degli oneri di natura assistenziale o che trovano il loro finanziamento nella fiscalità generale”

Come ampiamente documentato dal Rapporto, l’INPS, dunque, oltre ad occuparsi dei trattamenti mensili da erogare ai lavoratori in pensione, ossia di quella parte della previdenza pagata principalmente dai contributi di lavoratori e imprese, provvede anche, contemporaneamente, a pagare gli assegni per l’assistenza a quanti si trovano nelle condizioni di bisogno, nel senso più ampio del termine. Non è un attività marginale, questa. Perché l’INPS provvede a “molteplici prestazioni (più di 400) previdenziali e assistenziali” che, messe tutte insieme, fanno lievitare continuamente la spesa dell’Istituto. Spesa che, infine, si inquadra nell’ambito del bilancio pubblico. Ma tra le prestazioni in crescita c’è qualche differenza, come vedremo dopo.  

Intanto, facciamo una premessa.  Va ricordato che ai vantaggi che, nell’ambito dell’UE, ci derivano dalle libertà in termini economici e sociali, corrispondono anche i doveri imposti dal Patto di Stabilità e Crescita (PSC). Tra questi, fondamentale, è il rispetto della disciplina di bilancio degli Stati membri. Soprattutto bisogna evitare disavanzi pubblici eccessivi per prevenire così l’instabilità monetaria e l’inflazione nella zona euro. Obblighi che portano, di conseguenza, anche la spesa pensionistica e assistenziale sotto il vigile controllo di Enti ed Organismi internazionali. Come risulta dai frequenti interventi al riguardo.     
L’ Eurostat, l'Ufficio Statistico dell'Unione Europea, pur non esprimendo osservazioni al riguardo, offre informazioni utili perché la politica se ne occupi e ne rilevi le criticità. Così fa sapere che l’Italia ha una delle percentuali più alte in Europa di spesa pensionistica e assistenziale rispetto al PIL pari a circa il 16-17%. L’OCSE approfondisce l’argomento e osserva che la concessione di benefici dell’uscita anticipata a un'età relativamente bassa contribuisce a classificare l’Italia come la seconda più alta spesa per la pensione pubblica tra i Paesi indicati nel rapporto: 16,3% del PIL, nel 2021
L’OCSE osserva, inoltre, che ad aggravare l’elevata spesa pubblica del nostro Paese è la spesa pensionistica e assistenziale. Suggerisce, pertanto, d’ intervenire con misure riduttive. Al riguardo, abbiamo già esposto la nostra posizione critica in questa Rivista (vedi Le pensioni nel Rapporto OCSE 2023, marzo 2024).

Infine, va ricordato che anche la nostra Corte Costituzionale, quando si trova dinanzi al bilanciamento degli interessi, non esita a privilegiare la tenuta del pubblico bilancio rispetto a misure che deprimono i trattamenti pensionistici. In questo sostenuta anche dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU) che ha riconosciuto ampia discrezionalità al legislatore nazionale, anche quando adotta misure riduttive in materia di legislazione sociale ed economica, se queste servono a protezione della stabilità finanziaria della zona euro (vedi in questa Rivista, luglio, 2023: A difesa delle pensioni: i ricorsi, la politica). 

Insomma, la spesa pensionistica e assistenziale è sotto stretta sorveglianza a livello europeo. E Organizzazioni ed Enti internazionali continuano a premere sul nostro Paese perché venga ridotta.  

Il fatto è che, ripetiamo, nella spesa pensionistica stanno insieme quella per la previdenza e quella per l’assistenza. Con una particolarità: dinanzi all’esigenza di contenimento, è quella relativa alle pensioni medio-alte previdenziali che viene colpita con blocchi e penalizzazioni del meccanismo di adeguamento all’inflazione, ovvero con misure riduttive, o con i c.d. contributi di solidarietà. Insomma sono sotto attacco le pensioni per le quali sono stati versati fior di contributi.  Fuori controllo resta, invece, la spesa assistenziale, che dovrebbe essere tutta a carico della fiscalità generale, come si dice generalmente, ma “l’assistenza” cresce continuamente, e, pertanto, quando i trasferimenti ordinari non bastano, si prendono soldi dalla previdenza. Più chiaramente: si prendono i soldi dalle tasche dei pensionati che si sono costruiti la pensione versando fior di contributi. Fuori controllo resta, invece, la spesa assistenziale, che trova un  pericoloso intreccio con disposizioni che gravano pesantemente sul pubblico bilancio, a cominciare dalla decontribuzione. Anche se migliorando i conti il sistema pensionistico potrebbe resistere, nessun sistema può reggere a lungo con un livello così alto di decontribuzione come quello attuale. Una pratica diffusa da anni, chiaramente orientata al consenso elettorale.   

Di qui la nostra insistente proposta di un intervento urgente in materia.
Infatti, gli esperti assicurano che, mettendo sotto controllo l’assistenza dalle pensioni previdenziali si potrebbe ridurre la spesa in modo significativo. Intorno ai 5-6 miliardi di euro l'anno. Forse di più.  E il rapporto tra spesa pensionistica reale/PIL scenderebbe, secondo gli esperti, dal 16,3% al 12,3%, in linea con la media UE.
A nostro avviso, intanto si potrebbe cominciare con il costruire una banca dati contenente tutte le misure e i relativi importi riferiti alla funzione di assistenza; si potrebbero valorizzare le informazioni che già esistono nel bilancio dell’INPS; vogliamo dire i dati contenuti nella  Gestione per gli Interventi Assistenziali (GIAS), quelli della Gestione Prestazioni Temporanee (GPT) per le prestazioni di sostegno al reddito, quelli relativi al bilancio INAIL e alla spesa sanitaria.  Sono dati che già consentirebbero una più precisa separazione tra assistenza e previdenza al fine di consentire interventi più mirati sulle singole componenti di spesa. Perché non cominciare da questo?

Conclusione 

Una separazione assistenza/previdenza porterebbe a due risultati importanti.  
La prima riguarda la trasparenza. Fornirebbe una migliore comprensione su ciò che è spesa pensionistica e su quella che è, invece, spesa assistenziale. Questo fornirebbe adeguate risposte alle critiche che vengono dall’UE come dagli Organismi che abbiamo citato sopra.
La seconda: riguarda quei 3 milioni e mezzo di pensionati che, dopo avere contribuito in maniera sostanziosa, durante gli anni di prestazioni lavorative, alla costruzione di una pensione dignitosa, si trovano, di volta in volta, a sostenere anche quella assistenziale e altre forme di servizi sociali, riconducibili a questa funzione. Per giunta, versando alla fonte un’imposta che, di fatto, dimezza i loro trattamenti.

Tornando all’inizio di questo articolo, riprendiamo l’auspicio espresso dal Presidente dell’INPS di costruire un sistema di welfare capace di affrontare le sfide future. E nel futuro, che sia il più prossimo possibile, noi confidiamo che la politica, al di là di distinzioni ideologiche o di schieramento, riconosca l'importanza di attuare una più marcata separazione tra spesa pensionistica e spesa assistenziale. Questo non solo rappresenterebbe un atto di trasparenza nei confronti dei cittadini, chiarendo la destinazione delle risorse nei conti pubblici, ma sarebbe anche un passo fondamentale per ridurre le crescenti tensioni sociali. 

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