Le iniziative contro i provvedimenti del Governo sulle pensioni

È sicuramente utile ed opportuno che CIDA e Federmanager abbiano deciso di sostenere i ricorsi “pilota” contro i provvedimenti del Governo, ma i ricorsi giudiziari, per quanto possibile, dovrebbero essere accompagnati da una costante azione di comunicazione e opposizione alle discriminazioni. Relazione in occasione della riunione Federmanager 11 maggio 2019.

Mino Schianchi

Presidente Comitato Nazionale di Coordinamento dei Gruppi Pensionati e Vicepresidente ALDAI-Federmanager
Senza gli interventi di Federmanager e CIDA nelle sedi di governo, probabilmente oggi staremmo qui a discutere di un’altra legge, quella che voleva il ricalcolo con il sistema contributivo delle pensioni sopra i quattromila euro, con effetti retroattivi. Quella legge era assolutamente incostituzionale e ringrazio Stefano Cuzzilla, Mario Cardoni e Giorgio Ambrogioni, che saluto con affetto come ex Presidente CIDA, perché senza il loro intervento forse ci troveremmo a batterci contro il provvedimento “c.d. contributo di solidarietà” che partiva da 90mila euro lordi e che avrebbe coinvolto 12.000 pensionati Federmanager.

Diciamolo subito, però: non è stata una vittoria. È stato un contenimento dei danni. Rispetto ai 12mila pensionati che rischiavano di subire tagli più o meno rilevanti, ora saranno circa 2 mila le posizioni di iscritti Federmanager che saranno assoggettate alla “riduzione” quinquennale della base della pensione.

Non si devono abbandonare al loro destino questi nostri colleghi. Non può e non deve mancare l’impegno di tutela della Federazione verso di loro. Perché prima ancora delle singole persone, si tratta di difendere principi. E i principi vanno tutelati, anche se si tratta di difendere un solo individuo che subisce un torto, perché sono i fondamentali del nostro stare nell’ordinamento democratico.

Contemporaneamente ai “tagli”, con la legge di bilancio triennale 2019-2021 n. 145 del 30 dicembre 2018, è stato introdotto anche un nuovo sistema di perequazione per molti di noi ancora più penalizzante rispetto a quella già applicata nel periodo 2014-2018. So benissimo che esistevano ed esistono perplessità ad avviare un qualche ricorso pilota per contestare il nuovo sistema. Probabilmente, il sistema di “raffreddamento” introdotto con le nuove disposizioni sulla rivalutazione rispetta le regole della progressività e forse è in grado di aggirare le censure della Corte Costituzionale. Ma qui la questione, ora, si pone in altri termini. Si tratta di mettere in evidenza la continuità decennale di interventi sospensivi e riduttivi sulla rivalutazione. Provvedimenti che si sono susseguiti, come anelli di una catena, uno dopo l’altro. 

Che cosa domandiamo allora?

Domandiamo di valutare se e in qual modo sia possibile fermare la continuità di un disegno che interviene sul sistema di rivalutazione per paralizzarlo. Un disegno infame, perché sa di colpire persone anziane, in maggioranza ultra 80enni, senza alcun potere contrattuale: persone che per difendersi devono affidarsi solo alla benevolenza dei giudici, nel caso questi vogliano tenere conto, qualche volta, non solo delle ragioni esposte dai governi, ma anche delle ragioni dei ricorrenti. Ipotesi assai improbabile. La sfiducia è ben riposta, tenuto conto dei precedenti. Ma questa è una buona ragione per non fare niente?

Le nuove disposizioni portano a riflessioni più complessive in materia pensionistica.

È sicuramente utile ed opportuno che CIDA e Federmanager abbiano deciso di sostenere alcuni significativi ricorsi “pilota” indipendentemente dai prevedibili risultati dei ricorsi dinanzi ai tribunali. La ragione è evidente: non reagire per le vie giudiziarie apparirebbe come supina acquiescenza rispetto a provvedimenti che sono iniqui e discriminatori:
  1. iniqui perché colpiscono una categoria che ha già subito numerosi provvedimenti riduttivi dei propri trattamenti, da lunghi anni, con particolare accentuazione a partire dal 2008;
  2. discriminatori perché dinanzi all’esigenza di migliorare i redditi dei più svantaggiati, per acquisire risorse le mani vengono messe ancora una volta, e solo, nelle tasche dei pensionati.
Le iniziative sul piano giudiziario sono necessarie, ma non fermeranno gli attacchi contro noi pensionati.

Al di là dell’incidenza che questi provvedimenti hanno sulle pensioni colpite, non dobbiamo dimenticare che i provvedimenti che sono stati adottati sono il frutto di una propaganda politica squallida.

I pensionati con trattamenti pensionistici retributivi o misti sono stati segnalati come “previlegiati”, perché, nella narrazione delle forze di governo, non avrebbero versato i contributi utili alla copertura delle loro pensioni. Falsa informazione, ma questa è stata la strategia comunicativa e questa è stata l’intesa sulla quale si è saldato un capitolo del contratto di governo.

Indegna delegittimazione e gogna mediatica

I privilegi che vengono contestati sono indipendenti dalla valutazione del lavoro svolto, dalle responsabilità e dai ruoli svolti nello Stato e nelle imprese pubbliche e private. Non si considera che dietro queste pensioni possano esserci anni di lavoro, responsabilità, impegno, merito; e tanti contributi previdenziali versati. Stiamo parlando di pensionati che fanno parte di quel 4,36% di contribuenti che mantengono il 46% della restante popolazione. Stiamo parlando di chi ha affrontato, da posti di alta responsabilità, le numerose crisi economiche che hanno attraversato il Paese; di chi ha fatto ogni sforzo, in ogni circostanza, perché da quelle crisi se ne uscisse fuori a beneficio dalla collettività nazionale. Dopo tutto questo, quella Dirigenza si trova ora impallinata da accuse infamanti che ne ledono la dignità personale. Sono state inutili e senza effetto le dimostrazioni che tutto questo non è vero. A niente è valso spiegare che sono l’evasione fiscale e la frode previdenziale la cancrena che erode il nostro sistema sociale.

L’insistenza sul capitolo “privilegi” è dunque una questione di sottile strategia politica dove si porta avanti la contrapposizione tra l’esigenza di una maggiore giustizia sociale, la riduzione delle disuguaglianze ma si dimentica il merito

Per i partiti di governo, fatti i conti, quelli colpiti da questi provvedimenti, sono una minoranza che incide poco, numericamente, ai fini elettorali, ma molto sul piano della propaganda. Anche i partiti che avrebbero potuto opporsi a questa logica perversa, e difendere questi pensionati, hanno fatto un freddo calcolo di convenienza elettorale: ci guadagnano di più se si astengono da una precisa presa di posizione al riguardo. 

Iniziative da intraprendere

È difficile prevedere inversioni di tendenza di queste politiche e del relativo supporto elettorale acquisito. Almeno a breve termine.
Pertanto i ricorsi giudiziari, per quanto possibile, dovrebbero essere accompagnati da una costante azione di comunicazione che:
  1. spieghi quali sono i diritti e gli interessi legittimi che sono stati lesi;
  2. si opponga alla stessa espressione “pensioni d’oro”, utilizzata per diffondere astio, rancore, invidia sociale.
Dobbiamo contrastare con tutte le nostre forze quelle componenti politiche che stanno tentando di delegittimarci additandoci come una casta privilegiata, indifferente ai temi della solidarietà tra le generazioni. 

Si dovrebbe far capire alla pubblica opinione che non sono gli anziani pensionati, responsabili di disuguaglianze sociali, non sono loro che hanno determinato condizioni di povertà e basse pensioni. Bisognerebbe spiegare che la frode fiscale, la frode contributiva, la corruzione hanno succhiato sangue vivo alle risorse del Paese; ne hanno impedito lo sviluppo. 
Bisognerebbe far capire che le situazioni di disagio, di povertà e di disuguaglianza di cui soffre il Paese vanno attribuite al lavoro in nero a cui si è fatto ampiamente ricorso in molta parte delle attività produttive. Molte pensioni oggi sono basse perché bassa è stata la loro contribuzione. 
Occorre una intensa azione di comunicazione che evidenzi i rischi che corrono le future generazioni alle quali si fa credere che una collettività può continuare a vivere e svilupparsi senza la valorizzazione del merito, azione di comunicazione che contemporaneamente ribadisca la piena disponibilità dei pensionati, per il bene del Paese, ad aderire a provvedimenti di prelievo sui loro trattamenti, sempre che gli stessi siano estesi anche alle altre categorie sociali aventi redditi equivalenti.

Per impedire che la retorica della propaganda prenda il posto della verità è necessario uno sforzo collettivo e un giudizio severo sull’azione del Governo che produrrà tagli sulle pensioni ed effetti retroattivi dopo le elezioni europee. Ritengo utile promuovere e consolidare intese e azioni comuni con altre associazioni e sindacati che sostengono le stesse tesi di Federmanager e CIDA. Insieme a loro potremo meglio reagire all’ennesimo taglio, all’ennesima penalizzazione che colpisce chi ha contribuito una vita con il proprio lavoro e che minaccia chi oggi è in servizio e giustamente teme per il futuro.
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