Politiche pensionistiche: un brutto messaggio per le nuove generazioni

Il 16 gennaio 2024, il Presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, Prof. Alberto Brambilla, ha presentato l'undicesimo Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano a Montecitorio. Il Rapporto fornisce un'analisi approfondita del sistema previdenziale italiano fino al 2022, con aggiornamenti fino al 2023 e ulteriori informazioni fino a gennaio 2024

Foto di Kate Cox da Pixabay

Mino Schianchi

Vicepresidente ALDAI-Federmanager








Riclassificazione della spesa pensionistica  

Un aspetto chiave del Rapporto è nella riclassificazione della spesa pensionistica e assistenziale che potrebbe favorire interventi mirati e una migliore comprensione dei due fenomeni anche presso le Istituzioni europee. E, pertanto, il Rapporto sottolinea la necessità di separare la spesa assistenziale da quella previdenziale anche per evitare ulteriori e continue pressioni internazionali volte a incidere negativamente sul potere d’acquisto delle nostre pensioni.  

Strettamente legata a questa esigenza di chiarezza e trasparenza del bilancio previdenziale è l’altra osservazione: la spesa assistenziale è in aumento. Continua la sua crescita nel periodo 2008-2022, ma con risultati contrari alle aspettative. Nonostante gli elevati investimenti, la povertà assoluta e relativa è aumentata. Il richiamo è alla politica: occorre riconsiderare l’insieme dei provvedimenti assistenziali.  Quelli adottati finora non funzionano, se non, aggiungiamo noi, per incrementare il bottino elettorale. Di qui alcune proposte chiave volte a invertire le dinamiche negative nella vita economica e sociale italiana. 

Il Rapporto suggerisce un approccio basato su servizi concreti invece della semplice distribuzione di denaro. A questo aggiunge anche l’ipotesi di trovare modalità per valutare le condizioni di vita di quegli over 35 che non hanno mai fatto una dichiarazione dei redditi, al fine di capire come vivono, di cosa vivono, e cercare di identificare in questo modo le sacche di evasione fiscale.  

Un contributo di solidarietà per sempre 

La necessità di cambiamenti significativi nel nostro sistema previdenziale costituisce il quadro di riferimento in cui si inserisce il richiamo ai decisori politici di considerare attentamente le implicazioni delle attuali politiche sulla vita delle nuove generazioni.  Sono politiche che penalizzano sempre più i redditi da lavoro e i redditi pensionistici. A questo riguardo è il più recente Rapporto OCSE (OECD Economic survey ITALY 2024) a metterci il suo “carico da undici”. Suggerisce di aggiungere un contributo di solidarietà nella forma di “imposta sulle pensioni elevate, che non siano correlate ai contributi pensionistici versati”. Un contributo che, scrive l’OCSE: “potrebbe essere mantenuto fino a quando il reddito relativo dei pensionati non sarà allineato alla media OCSE”. Il Rapporto non spiega se il contributo proposto debba trovare applicazione in alternativa all’attuale meccanismo di adeguamento delle pensioni al costo della vita (perequazione).  In ogni caso non tiene conto delle falcidie operate da questo meccanismo già quando viene applicato nella forma tradizionale. Meccanismo per sé discriminatorio: 100%, 90%, 75%. Sicuramente non tiene conto che la manipolazione in peggio di questo meccanismo sta togliendo, da oltre 20 anni, una montagna di soldi dalle tasche dei pensionati. 

Ancora una volta, a nostro avviso, si fa urgente il discorso della separazione della spesa assistenziale da quella previdenziale nel bilancio INPS. E, ancora una volta, occorrerebbe fare chiarezza sui dati, distinguendo la spesa pensionistica al lordo da quella al netto, cioè depurata dell’Irpef. La corretta determinazione di questi dati è fondamentale per evitare che eccessive sovrastime convincano l’Europa a imporre tagli alle pensioni. Ma su questi argomenti pare si voglia continuare con “il gioco degli equivoci”, parafrasando il titolo di un noto romanzo del secolo scorso. Un equivoco che ci pone in una posizione critica a livello internazionale. Perché fa dire all’OCSE che occorre intervenire sulla spesa pensionistica italiana e per suggerire, come detto, l’adozione di misure volte a frenare il continuo aumento della spesa previdenziale.  

Al riguardo fanno da contrappeso le osservazioni di Itinerari Previdenziali che - nel Rapporto di cui abbiamo detto - osserva come le pensioni più alte sono già ampiamente falcidiate, più che in altri Paesi europei. Queste pensioni, vale la pena ripeterlo, sono il frutto di redditi alti, su cui sono state applicate imposte e contributi altissimi. E va tenuto conto (sempre da Itinerari) che su una spesa previdenziale lorda di 322 miliardi di euro nel 2022, l’Irpef ha pesato per oltre 58 miliardi. Imposte che in molti Paesi dell’Unione o di area OCSE sono molto più basse, quando non del tutto assenti. Sicché la spesa previdenziale netta è stata di circa 264 miliardi di euro. E, infine, quanto alla proposta di mantenere il contributo di solidarietà fino a quando il reddito dei pensionati non sarà allineato alla media dell’OCSE, vale la pena osservare che se in Italia le pensioni sono più elevate, è perché più elevati sono i contributi versati all’INPS da lavoratori e aziende. Diversamente da quanto accade in altri Paesi. 

Prima conclusione

Le pensioni hanno subito un’enorme perdita in termini di potere d’acquisto.  E continueranno a subirne, vista la concatenazione ininterrotta di misure che, Governo dopo Governo, da oltre 20 anni, falcidiano le pensioni che superano 4/5 volte il minimo. 

Quale messaggio allora devono leggere le nuove generazioni in questo atteggiamento della politica sempre più ostile verso i pensionati della classe media? 

Dalle ricorrenti politiche punitive, contro i pensionati, i giovani che si presentano sul mercato del lavoro oggi ne ricavano dubbi, incertezze: se finalmente un giorno si vedranno attribuita una pensione, questa potrà essere oggetto di manipolazioni da parte delle forze che si succederanno alla gestione del Governo.  

Seconda conclusione

Quale prospettiva, allora, per le nuove generazioni?  
La risposta è nel 57° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese (1° dicembre 2023). Anche se si registrano alcuni miglioramenti nel mercato del lavoro, nel senso di una maggiore occupazione, il nostro Paese continua a essere un Paese di emigrazione. A caratterizzare i flussi più recenti è l’aumento significativo della componente giovanile.  Tenendo conto solo degli ultimi anni, il Rapporto Censis osserva che “Il peso dei laureati sugli espatriati 25-34enni è aumentato significativamente, passando dal 33,3% del 2018 al 45,7% del 2021"

Un drenaggio di competenze dove “il saldo migratorio dei laureati di 25-34 anni per il nostro Paese appare costantemente e fortemente negativo”.  Dati, questi, che si saldano con il Rapporto Istat Migrazioni interne e internazionali della popolazione residente, anno 2021. Durante il decennio 2012-2021 sono espatriati “dall’Italia oltre 1 milione di residenti, di cui circa un quarto in possesso della laurea”. Anche in presenza di alcuni ritorni, “la differenza tra i rimpatri e gli espatri dei giovani laureati è costantemente negativa”. La continua perdita di giovani rischia di rendere più povera la nostra società sul piano economico, sul piano culturale, con gravi ripercussioni anche ai fini della futura gestione delle imprese pubbliche e private. 

Confermano questa tendenza i dati preoccupanti presentati dall’Osservatorio 4.Manager nel corso del convegno Il mercato del lavoro manageriale: mismatching domanda e offerta ed evoluzione delle competenze tenutosi a Milano il 23 gennaio 2024 e promosso da Il Sole 24Ore e da 4.Manager.  L’indagine ha rivelato la difficoltà crescente nel reperire figure dirigenziali nel nostro Paese: era pari al 39,5% nel 2020, è arrivata al 66,8% nel 2023. È una questione cruciale quindi quella della irreperibilità di nuovi dirigenti. Molti giovani che dovrebbero rappresentare la spina dorsale della conduzione della futura vita economica e sociale del nostro Paese se ne vanno.    

Politiche pensionistiche ed emigrazione

Per parte nostra, siamo convinti che la decisione di molti giovani laureati di emigrare non sia motivata esclusivamente da prospettive di reddito più elevato. Essi cercano Paesi in cui poter stabilire una famiglia, godere di servizi di assistenza adeguati e anche sfuggire alla ormai storica instabilità dei trattamenti pensionistici. 
L'emigrazione giovanile, come risulta dai dati esposti, rappresenta un problema sociale che richiede serie riflessioni da parte dei decisori politici, quali che siano i partiti di appartenenza.  
Riflessioni che non possono mancare degli interventi e delle sollecitazioni delle nostre Rappresentanze sindacali (il richiamato convegno dell’Osservatorio 4.Manager è un primo passo) perché tengano conto del messaggio negativo che le nuove generazioni ricevono dalle continue manipolazioni del sistema pensionistico. Un sistema sempre più indirizzato verso l’assistenzialismo piuttosto che a garantire il potere d’acquisto dei trattamenti di quanti hanno pagato imposte e contributi fino all’ultimo centesimo sui loro redditi per garantirsi una vecchiaia dignitosa. 
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