I tagli alle pensioni, ovvero punire la vecchiaia
Un Paese che taglia le pensioni, non ne garantisce il potere d'acquisto nel tempo e non investe in politiche attive di sviluppo s’incammina verso la regressione economica e la permanente conflittualità sociale
Antonio Dentato
Parliamo della legge di bilancio triennale 2019-2021 n. 145 del 30 dicembre 2018, art.1, commi. 261-268. Contiene l’attuazione del proclama contro le cosiddette “pensioni d’oro”. Il dispositivo, alla fine, si rivela per quello che è: una piatta ripetizione di precedenti operazioni, con alcune caratteristiche supplementari che ne accentuano la negatività. Meritano di essere segnalate, perché costituiscono base di riferimento per le cose che diremo successivamente. L’operazione:
- È stata preparata e incattivita da una propaganda cosparsa di ingiurie, intesa a discreditare quelli a carico dei quali sarebbero stati effettuati i tagli;
- È stata attuata senza nessun rispetto dei vincoli posti dalla giurisprudenza della Corte costituzionale nelle materie regolamentate;
- E, particolare importante sul piano politico, i provvedimenti adottati ignorano, per molti versi, il contratto siglato fra le due forze di governo.
Premesso che sul punto 1 ritorneremo in altra occasione, cominciamo dal mancato rispetto dei vincoli costituzionali.
Il primo vincolo costituzionale non rispettato
Un taglio è disposto con il comma n. 261 della legge citata: "a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge e per la durata di cinque anni, i trattamenti pensionistici [….] sono ridotti di un’aliquota di riduzione…." . Non è definito nominalmente, ma fa le stesse cose dei “contributi di solidarietà”, di nota memoria, già applicati da anni ai pensionati. Insomma è la stessa cosa.
Anche se “innominata”, riteniamo, che difficilmente questa nuova “riduzione” possa eludere i vincoli posti in materia dalla Corte Costituzionale. La quale ha detto chiaramente che il prelievo si può fare, ma a precise condizioni: 1. Eventuale dissesto del sistema previdenziale (e invece la misura adottata con la legge triennale citata serve a finanziare misure assistenziali che, secondo le cronache, il sistema lo mettono a rischio); 2. Aliquote non eccessive: 3. Rispetto del principio di proporzionalità; 4. Misura eccezionale una tantum, temporanea.
Certo, ogni questione portata davanti ai giudici ha una sua storia. Ma non potranno non pesare anche i precedenti: a) il nuovo prelievo sulle pensioni medio-alte è il sesto, solo per dire di quelli disposti dal 2000. Ogni volta per 3 anni. L’ultimo prelievo (2014-2016) andava dal 6% al 18% e durava 3 anni. Il nuovo, con 5 aliquote, parte dal 15%, arriva fino al 40%. Su 5 scaglioni e dura 5 anni. (Vedi Tabella n.1); b) i pensionati provenienti dagli ex Fondi speciali (ex Fondi Volo, Telefonici, Elettrici, Ferrovieri, Ferrotranvieri, Inpdai, tutti confluiti nell’Inps) ne hanno pagati 2 contemporaneamente. Quello (2014-2016) applicato a tutti i titolari di pensioni superiori a 91.251,16 euro e quello speciale (ex Fondi) per sei anni, dal 2012 al 2017.
Il secondo vincolo costituzionale non rispettato
Anche il sistema di perequazione introdotto con la nuova legge di bilancio triennale si pone in aperta contrapposizione con i moniti dei giudici costituzionali. Che ripetutamente hanno avvertito il legislatore a non tirare troppo la corda del sistema perequativo, abbassando sempre più le aliquote di rivalutazione. Al riguardo, richiamando la giurisprudenza costante in materia, dice la Sentenza Cost. n. 316/2010 “la frequente reiterazione di misure intese a paralizzarlo, esporrebbero il sistema ad evidenti tensioni con gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalità …. Perché le pensioni, sia pure di maggiore consistenza, potrebbero non essere sufficientemente difese in relazione ai mutamenti del potere d’acquisto della moneta”.
Che ormai le pensioni di maggiore consistenza non siano adeguatamente tutelate, visti i continui attacchi cui sono esposte, è un fatto.
Che le frequenti incursioni sul sistema perequativo siano, da anni ormai, fonte di permanente tensione sociale è palpabile all’evidenza.
Che sulla pelle dei lavoratori si stia giuocando una partita tra fazioni, lo stanno capendo tutti. E questo aggrava il clima di conflittualità in cui da anni ormai il nostro Paese è forzato a vivere.
Il contratto di governo non vale per le pensioni
Nel contratto di governo (punto 26) sono previsti interventi diretti a tagliare pensioni superiori ai 5.000,00 euro netti mensili non giustificate dai contributi versati. Ma la pratica di governo sta operando altrimenti. Niente contratto. Per le pensioni è diventato urgente mostrare il vero segno del cambiamento, nel senso di fare le stesse cose che facevano “quelli di prima”: prelievi seriali sulle pensioni. Ma questa volta con un extra d’inasprimento. Che non guasta. Anzi, di questi tempi lucra consensi.
Il sistema di perequazione viene peggiorato
Nel contratto non se ne trova traccia e questa manovra colpisce tutta la nostra categoria ed altri milioni di pensionati. E pertanto era certo che chi aveva gridato in Parlamento e manifestato nelle piazze contro le ripetute sospensioni o peggioramento del sistema di perequazione, una volta al governo, coerentemente avrebbe rimediato a 7 anni di penalizzazioni; una volta al governo (si pensava) avrebbe reso “giustizia”; avrebbe ripristinato il sistema tradizionale a suo tempo concordato con le organizzazioni sindacali. Nessuno poteva dubitarne. La rivalutazione annuale delle pensioni, secondo lo schema prescritto dall’art. 69 della legge n. 338/2000, era già disposto. Sarebbe stato avviato dal 1 gennaio 2019. Anzi è partito. Lo testimonia il fatto che nel cedolino di gennaio 2019 e forse anche in quello di febbraio si trova applicato tale sistema di rivalutazione. (Ma il recupero avverrà sicuramente nei mesi successivi). Non è andata così. L’intesa solenne che “si fa solo quello che è scritto nel contratto” vale per ogni altra questione, non per le pensioni. Dove, invece, sembra sia stato stipulato l’altro accordo, sottobanco: dare addosso a chi ha sempre pagato tasse e contributi previdenziali, a chi continua a pagare l’imposta marginale sul reddito (Irpef) intorno al 43%, a chi ha già subito modifiche peggiorative e blocchi del sistema perequativo con i più devastanti effetti di trascinamento, per tutta la vita natural durante dell’interessato e per i futuri aventi diritto alla reversibilità. In breve: per i pensionati il contratto non fa testo. Infatti:
- La falcidia scende sotto i 5.000 mila euro netti e coinvolge oltre cinque milioni di pensioni poco sopra i 1.522 euro lordi, con effetti fortemente peggiorativi rispetto alle attese.
- La rivalutazione al 100% dell’inflazione (1,1%, per il 2019) sarà applicata solo alle pensioni fino a 3 volte il minimo Inps. Per il resto il meccanismo è molto penalizzante, soprattutto per le pensioni dal 4 scaglione in poi. Che assicureranno l’80% delle risorse. Il restante 20%, ma con impatto percentuale più modesto, sarà a carco delle pensioni tra 4 e 5 volte il minimo. (Per approfondimenti su questa parte vedi Alberto Brambilla, “La “guerra” delle pensioni: perché la Legge di Bilancio non premia il senso del dovere”, 20/12/2018). Intanto per un primo approccio vedi la Tabella n.2.
- Non c’è nessun rapporto, infatti, con i contributi versati, come scritto nel “contratto”. Perché, lo si è detto più volte, non è praticabile il ricalcolo contributivo delle pensioni “retributive o miste” che risalgono agli anni più lontani nel tempo.
- Il nuovo sistema di perequazione, per 3 anni, colpisce tutte le prestazioni pensionistiche: sia quelle non giustificate dai contributi versati sia quelle coperte integralmente da contributi.
La riduzione delle pensioni (ex contributo di solidarietà) colpisce i più vecchi
Lo stesso vale per la riduzione (che gli altri Governi hanno chiamato “contributo di solidarietà” o “di perequazione”) e ora è senza nome: “innominata” la riduzione (comma 261) che taglia le pensioni i cui importi complessivamente considerati superino 100.000 euro lordi su base annua con aliquote progressive da 15 al 40 per cento. È vero: la legge di bilancio (comma 263) dice che la riduzione […] non si applica comunque alle pensioni interamente liquidate con il sistema contributivo. Una norma conforme al contratto, in apparenza, e invece, gronda di sospetto, oltre che essere beffarda e cinica.
- Perché è noto che, come detto, mancando la storia contributiva delle pensioni attribuite negli anni più lontani nel tempo, il ricalcolo, secondo il metodo contributivo, dei trattamenti pensionistici superiori a 5000 euro mensili netti non si può fare. Pertanto il prelievo si applicherà a prescindere dai contributi versati. Allora è una norma fittizia che nasce dal sospetto che tutti questi pensionati, una minoranza di 24.287 persone, siano colpevoli di frode contributiva e che, dunque, siano beneficiari di prestazioni, in tutto o in parte, non guadagnate. Nel dubbio (chi ha versato e chi non ha versato) colpirli tutti!
- Perché il taglio grava pesantemente sulle persone avanti negli anni. Grava sui pensionati di 90anni e più, che sono i soli a percepire pensioni attribuite integralmente con il sistema retributivo; e colpisce quelli che, andati in pensione tra la Riforma Dini (1995) e la Riforma Fornero (2011), percepiscono trattamenti calcolati in parte con il sistema retributivo e in parte con il sistema contributivo (sistema misto - età, oggi, tra i 72 e gli 89 ). Dopo il 2012 un contributivo prorata.
- Perché il provvedimento (al di là degli effetti economici sui destinatari e del modesto risparmio finanziario per le casse previdenziali) vuole essere, in primo luogo, una bandierina simbolica nella battaglia contro i “privilegi”. Ma che lo siano le pensioni non è stato mai dimostrato, anzi le analisi dicono che le pensioni che hanno ricevuto maggior vantaggio dal sistema retributivo sono quelle più basse. In maniera più esplicita, vuole essere, una scelta di parte, e pertanto un sorta di rottura emblematica con quanti durante l’età lavorativa hanno ricoperto alte responsabilità nelle istituzioni dello Stato e nella imprese pubbliche e private. Peraltro, un operazione sprezzante, a basso rischio elettorale, decisa a colpire una categoria sociale minoritaria, senza potere contrattuale e che, per ragione di età, difficilmente può scendere in piazza per protestare. Dove sta la maggiore equità sociale?
Conclusione
Magari si potesse dire un giorno che il taglio delle pensioni di un gruppetto di “privilegiati” pensionati ha contribuito ad “abolire la povertà”. Fosse vero!
Il timore è che anche questa propaganda finisca in una grande illusione. Con lo strascico di conflittualità sociali difficili da colmare. Resterà il danno di una perversa ostilità, preconcetta e deleteria, a carico dei soliti presi di mira, dileggiati pubblicamente, come quelli che riscuotono prestazioni abusive; e la beffa a carico di tanti svantaggiati della vita sociale che hanno creduto al miracolo di una mossa politica in grado di toglierli, d’un tratto, dai disagi e dalle indigenze in cui sono costretti a vivere.
È spargere inganni far credere che sia possibile redistribuire ricchezza e realizzare giustizia intergenerazionale attraverso il sistema previdenziale. Piuttosto che attizzare rancore contro i “soliti” che sono chiamati ormai da decenni a fare da capro espiatorio rispetto alle esigenze di cassa del pubblico bilancio, forse ci vorrebbe un po’ più di coraggio, uscire dalla logica della campagna acquisti permanente, e cominciare una partita politica alta. Cominciare a fare un discorso di verità. Si dovrebbe finalmente far capire che non sono loro, gli anziani pensionati, responsabili di disuguaglianze sociali, non sono loro che hanno determinato condizioni di povertà e basse pensioni. Bisognerebbe spiegare che la frode fiscale, la frode contributiva, la corruzione hanno succhiato sangue vivo alle risorse del Paese; ne hanno impedito lo sviluppo. Bisognerebbe far capire che le situazioni di disagio, di povertà e di disuguaglianza di cui soffre il Paese vanno attribuite al lavoro in nero cui si è fatto ampiamente ricorso in molta parte delle attività produttive. Alcune per poter sopravvivere alla concorrenza dei mercati, interni e internazionali, altre solamente per intascare profitti sulla pelle dei lavoratori (soprattutto donne, lavoratori agricoli, artigiani, commercianti, prosecutori volontari, baby pensionati). E cosi molti di essi oggi si trovano a percepire basse pensioni perché bassa è stata, incolpevolmente, la loro contribuzione. Sono queste le piste su cui la politica, con la P maiuscola, dovrebbe insistere con provvedimenti correttivi più adeguati. A questo fine diventa sempre più urgente e necessario recuperare l’unità del Paese, impedire che si accentuino spaccature sociali. L’urgenza impone che si superi il clima di contrapposizioni tra fazioni. Per un tale primario obiettivo la politica può contare anche sulla collaborazione delle persone anziane, dei pensionati. Che però non intendono rassegnarsi alla discriminazione, perché fonte di più gravi ingiustizie. Vi si oppongono e resistono, per quanto consentito dalle regole della democrazia.
01 febbraio 2019