Pensioni: è tutto come prima, ma anche no
Non vi è Stato sociale senza un'adeguata fiscalità. Siamo in presenza di obiettivi che domandano risorse strutturali di notevole entità che implicano misure basate sulla fiscalità generale.
Antonio Dentato
È come un’intesa tacita: all’esordio della prima legge di bilancio, un nuovo Governo taglia le pensioni. Questa volta l’operazione è nella legge triennale di bilancio (2019-2021) n. 145 del 30 dicembre 2018. Non è cambiato niente, forse solo qualcosa.
Pagano sempre i soliti
Pagano gli stessi pensionati che hanno già subito gli stessi prelievi, via via crescenti. Senza tanti giri di parole subiscono una sorta di tassazione aggiuntiva a quella ordinaria sul reddito. Da lavoratori, hanno sempre pagato l’imposta sul reddito (IRPEF) e notevoli oneri pensionistici per costruirsi una pensione dignitosa; ora, da pensionati, continuano a pagare l’IRPEF e ne subiscono altri due, ormai in via continuativa: il cosiddetto “contributo di solidarietà” (nominalmente modificato, come diremo) e “la sospensione o le modifiche peggiorative della perequazione.” La novità è l’infamante soglia di reddito di 100mila euro lordi (63mila netti), oltre la quale il nuovo legislatore ha introdotto un “tributo”, che pagano in termini di dignità personale insultata. Annunciati nella campagna preparatoria, i nuovi prelievi sono presentati come una sorta di risarcimento a carico di “privilegiati”, additati come percettori di pensioni non dovute, in tutto o in parte. Pensioni che, invece, “hanno diritto ad avere per capacità personali e storia contributiva” (Ambrogioni). Al netto delle ingiurie subite, come appena detto, i nuovi provvedimenti sono la successione seriale di tagli praticati continuamente e accentuatisi a partire dal 2000. Proveremo a segnalarne similitudini e differenze.
1 - Il nuovo “contributo di solidarietà” si chiama semplicemente “riduzione”
Dal punto di vista normativo il provvedimento “prima” era collegato al principio costituzionale della “solidarietà”, chiave di volta del nostro ordinamento democratico. Adesso, la nuova legge abbandona il richiamo al principio solidaristico, e, in maniera più ruvida, dice semplicemente che “i trattamenti pensionistici [….] sono ridotti di un’aliquota di riduzione progressiva”. “Riduzione” dunque è il nuovo nome del “contributo di solidarietà”. Questo veniva applicato, normalmente per 3 anni. L’ultimo (2014-2016) con aliquote dal 6% al 18%. Questa volta per 5 anni con aliquote progressive dal 15% al 40%.
Ma è il confronto fra obiettivi e risorse che merita la maggiore attenzione.
- Ci troviamo dinanzi a cambiamenti importanti della politica previdenziale (qualcuno li definisce addirittura “storici”). Si amplificano gli interventi assistenziali. Ma il Governo limita il suo raggio d’intervento ad una platea ristretta di cittadini: i pensionati. In particolare a quelli con reddito lordo annuo superiore a 100mila euro. Gli stessi che sono assoggettati, pesantemente, anche all’altra penalizzazione, di cui diremo nel seguito.
- C’è un indirizzo della Corte Costituzionale che merita rispetto. Dice che dinanzi a situazioni di carattere eccezionale, il legislatore non debba restringere la platea dei soggetti passivi; deve, invece, imboccare la via maestra di un’imposizione “universale”, cioè di carattere generale. (Sentenze n. 223/2012, n. 116/2013, e precedenti). Niente è più eccezionale e importante che “abolire la povertà” come è stato annunciato.
- È il caso richiamare un assioma proprio dei Paesi democratici, secondo il quale non vi è Stato sociale senza un'adeguata fiscalità. Questa volta siamo in presenza di un obiettivo che domanda risorse strutturali e di notevole entità. Sarebbe necessario, quindi, il coinvolgimento della fiscalità generale (art.53 della Costituzione). Almeno chiamando alla stessa contribuzione supplementare tutti quelli che hanno redditi equivalenti.
- E, invece, il Governo segue l’altra strada: il prelievo su una platea ristretta di cittadini. Vista l’insufficienza delle risorse rispetto all’obiettivo (in 5 anni, 415 milioni al netto degli effetti fiscali), diventa chiaro il segnale politico. L’operazione è sventolata come un punto d’onore contro quei cittadini che la narrazione ha collocato in “ambiti privilegiati” e definiti astiosamente “pensionati d’oro”. 24.287 pensionati che, per un quinquennio, saranno assoggettati alla “riduzione”. È la discriminazione di una minoranza sociale composta da cittadini “i cui nomi sono individuati in elenchi dell’anagrafe tributaria o nelle banche dati dell’INPS”. (Vedi articolo Dirigenti Industria di Dicembre 2018 “Non per equità ma per cassa”).
2 - Una scappatoia per il nuovo sistema di perequazione
Affinché l’operazione non lasci spazio a dubbi, anche l’altro intervento riduttivo, con tagli mirati e in maniera altrettanto rilevante, continua a colpire le stesse persone.
- Le modifiche o le sospensioni della perequazione” prima” venivano collegate ad esigenze di bilancio pubblico o previdenziale. In particolare, il blocco veniva applicato per un anno. Poi per due anni (2012-2013). Successivamente è stato introdotto un blocco parziale della durata di tre anni poi prorogata per altri due. Questa volta per tre anni, quindi sempre peggio.
- In occasione di blocchi precedenti, gli adeguamenti venivano totalmente sospesi per le fasce al disopra di una certa soglia; con la nuova legge triennale, per nessuna fascia il blocco è totale. Uno potrebbe dire: ecco una buona cosa. Attenzione: le modifiche introdotte sono un escamotage a protezione di eventuali censure della Corte Costituzionale.
Nessuna discontinuità, solo un inasprimento del meccanismo
La lettura della norma rende evidente che il nuovo meccanismo peggiora quello fin ora adottato. Il comma 260 della nuova legge di bilancio si richiama al modello perequativo stabilito dall’articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448. Questo richiamo però appare quantomeno superfluo, se non fuorviante. Perché a leggerlo sembra che sia stato abbandonato il meccanismo “a fasce” applicato dal 2014 e che sia stato reintrodotto quello più generoso a tre “scaglioni”: 100%, 90%, 75%. Invece la griglia applicata si pone in perfetta continuità con quella usata fino all’anno appena passato. È solo la maggiore penalizzazione a fare la differenza rispetto a quella utilizzata fino al 2018. Il dispositivo mantiene il meccanismo delle fasce e le stiracchia. Le aumenta di numero: da 5 a 7 e poi abbassa progressivamente il valore delle percentuali d’indicizzazione. Solo le pensioni fino a 1.522 euro riceveranno una indicizzazione piena, al 100%. Tra 4 e 5 subiranno una buona limatura. A partire dai trattamenti appena superiori a 5 volte il minimo INPS (poco sopra 2500€ lordi) gli adeguamenti saranno solo di facciata. Assolutamente irrisori. (Cfr: “Taglio nascosto alle pensioni“ di Carlo Mazzaferro).
Le aspettative dei pensionati
- Oltre che sulle misure riduttive attuali, è sperabile che le magistrature che saranno chiamate a pronunciarsi su eventuali ricorsi tengano conto anche delle reiterazioni e progressive penalizzazioni che hanno subito le pensioni, almeno a partire dagli ultimi decenni;
- E, per quanto attiene alla perequazione, è evidente che il nuovo dispositivo è finalizzato a “paralizzare” il meccanismo. Pertanto, è auspicabile che si tenga conto del monito della Corte Costituzionale quando dice che anche le pensioni di maggiore consistenza potrebbero non essere sufficientemente difese in relazione ai mutamenti del potere d’acquisto della moneta (V. Sent. Cost. n. 316/2010);
- Queste pensioni, per quanto di “maggiore consistenza”, e più “resistenti” dinanzi all’inflazione, per effetto dei diversi provvedimenti riduttivi, hanno già perso il 20 per cento del potere d’acquisto, per tener conto solo dei provvedimenti adottati dal 2000;
- Gli effetti di trascinamento di questo perverso meccanismo sottrattivo continueranno vita natural durante dei titolari, e si ripercuoteranno sugli aventi diritto alla reversibilità;
- Queste perdite si sommeranno, moltiplicandosi, a quelle, per 3 anni, derivanti dal nuovo provvedimento.
Un sistema assistenziale per tutti
Siamo in presenza di disposizioni che mentre, al presente, si propongono di sostenere la nuova politica dell’assistenza, proseguono un fenomeno che dura ormai da anni. Una sorta di “fiume carsico”, sempre più impetuoso e debordante, che scava sotto il sistema previdenziale. A ogni nuovo intervento legislativo lo trasforma tendenzialmente in un’altra cosa. Qualcosa di uniforme, per tutti. E, vogliamo credere, senza nessun disegno studiato al riguardo. A forza di tagliare le pensioni previdenziali per sostenere, esse sole, l’ampliamento di quelle assistenziali, forse un giorno ci si accorgerà che non è poi così necessario insistere nel domandare la separazione delle due tipologie di prestazioni. Ma questo determina riflessi importanti sulla visione dello Stato; aspetti che vanno oltre l’argomento che stiamo trattando. Una prospettiva che interpella la politica, tutta, per valutarne le conseguenze.
Intanto le iniziative di Federmanager e CIDA
Saranno gli organi decisionali di Federmanager e CIDA a definire le azioni più idonee contro le nuove misure riduttive delle pensioni. È importante però che gli associati partecipino al dibattito che si sta sviluppando. Una partecipazione convinta e consapevole che rilanci i messaggi dell’Organizzazione (Vedi in questa rivista di dicembre l'articolo di Stefano Cuzzilla "Avanti tutta: strategia e visione per accelerare il cambiamento" ). Per gli argomenti fin qui evidenziati, diventa necessario e urgente un impegno comune almeno su tre iniziative: 1°) il sostegno ad eventuali ricorsi pilota; 2°) il consolidamento di alleanze con il mondo delle associazioni che condividono gli obiettivi di Federmanager e CIDA; 3°) il rafforzamento delle attività di comunicazione in grado di fronteggiare le fake news (bufale) e gli attacchi che vengono quotidianamente dall’esterno, per rendere costante e documentata l’informazione interna.
01 marzo 2019