Spread Meritocratico: rischio per le prospettive del Paese

Meritometro 2021 – La pandemia peggiora le performance comunitarie e allarga i gap tra i Paesi meritocratici. L’Italia resta in un’ultima posizione. Le opportunità del PNRR e il ruolo dei manager

Giorgio Neglia      

Consigliere Forum della Meritocrazia e Responsabile Meritometro
I risultati del Meritometro 2021 - strumento di misurazione del merito nei Paesi europei, messo a punto dal Forum della Meritocrazia con la collaborazione dell’Università Cattolica di Milano, presentati in occasione della V Gionata Nazionale del Merito - restituiscono un quadro non proprio confortante del vecchio continente alle prese con la crisi pandemica. 

Ben 6 Paesi su 12 registrano, infatti, performance in peggioramento. Tra le nazioni “in arretramento” anche quelle tradizionalmente “forti” come Francia, Germania e Svezia (che perde il primato in classifica). In tutti i casi, si conferma un’Europa a tre velocità con i Paesi del Nord in testa al ranking, seguiti da quelli dell’Europa continentale e da quelli del Sud, con l’Italia in ultima posizione. 

Il barometro del merito segna performance negative soprattutto per i pilastri «libertà», «pari opportunità» e «qualità del sistema educativo», a fronte delle ridotte capacità degli Stati di garantire un ecosistema favorevole allo sviluppo delle idee, delle competenze e dei talenti dinanzi ai vincoli e alle restrizioni derivanti dal protrarsi dell’emergenza sanitaria.
In questo contesto l’Italia, con un punteggio di 24,56 (+ 0,42 rispetto al 2020), resta fanalino di coda e vede allargarsi il gap che la separa dai Paesi più virtuosi. Non solo: aumenta anche il divario nei confronti della Spagna, penultima in classifica, dalla quale ci separano oltre 11 punti. Le nostre performance peggiorano rispetto ai pilastri della «libertà» e della «qualità del sistema educativo», in linea con i trend comunitari, e migliorano sul fronte delle «pari opportunità» (di genere, ma non per i giovani), delle «regole» e della «trasparenza».

Con riferimento alla “libertà”, l’Index of Economic Freedom posiziona l’Italia sotto la media UE. Un risultato in larga parte dovuto al peso negativo sul sistema economico e sociale dell’efficienza della spesa pubblica, della burocrazia, della tassazione e della regolazione. Si tratta di problemi noti e non certo recenti: dal 1997 a oggi il nostro score è cresciuto di soli 3,7 punti.

Anche la qualità del sistema educativo è in peggioramento ed è questo il dato che desta maggiore preoccupazione. I lievi incrementi nelle performance relative ai tassi di abbandono scolastico (-0,4) e di raggiungimento dell’educazione terziaria (+0,2) non sono certo sufficienti a far spostare il nostro Paese da un ranking che ci vede al di sotto delle medie europee rispettivamente di 3 e 13 punti.

Per quanto riguarda la parità di genere, si registra un trend positivo dovuto alle buone performance del Glass Ceiling Index che ci posiziona al di sopra della media OCSE di poco più di 4 punti, e prima di Gran Bretagna e Germania. Siamo però al di sotto della media nel dato sulle donne in posizioni manageriali. Per i giovani la situazione non è rosea. È, infatti, ancora negativo il dato sui NEET che peggiora rispetto allo scorso anno di 1,2 punti, portando l’Italia al 23,3% di NEET (25,4% se parliamo di ragazze) con un gap rispetto alla media UE di circa 10 punti.

Con queste premesse, la situazione sull’attrattività per i talenti non può che essere stazionaria, con un lieve peggioramento nel ranking del Global Talent Competitiveness Index che ci vede perdere una posizione (siamo 35° su 134 paesi) a causa di una flessione nella capacità di ritenere i talenti. Stazionari anche i risultati sulla mobilità sociale: il World Economic Forum ci posiziona al 34° posto su 82 Paesi, uno dei fattori determinanti (in negativo) è l’accesso ai livelli di istruzione superiore ancora troppo pesantemente influenzato dalle condizioni della famiglia di origine. Stabili anche le performance sul pilastro “regole e trasparenza”, ma positive rispetto all’andamento degli altri Paesi, con gap maggiori sula giustizia civile e l’open government.

Il Meritometro 2021 certifica, quindi, per il sesto anno consecutivo, un Paese fermo sul fronte della meritocrazia. Meglio sarebbe dire un paese con un tasso di crescita da “prefisso telefonico” palesemente inidoneo a recuperare il consistente «spread meritocratico», frutto di deficit strutturali accumulati negli anni, che ci separa dai principali partner comunitari. 

Serve un cambio di passo, con investimenti importanti e straordinari. Il PNRR, con molte delle sue missioni, può essere un’opportunità unica, a patto che sia gestito in modo «meritocratico», come dicemmo già lo scorso anno nelle pagine di questa Rivista, presentando i dati della rilevazione 2020.

Bisogna identificare bene le aree di intervento prioritarie per evitare di disperdere le risorse a disposizione ed ottenere nel più breve tempo possibile i risultati auspicati. È necessario partire - come anche il Presidente Draghi ha recentemente ricordato - dal sistema educativo, per favorire l’accesso al lavoro dei giovani, migliorare l’innovazione e le performance del sistema produttivo, aumentare la mobilità sociale. Allo stesso tempo occorre procedere speditamente sulla semplificazione e l’innovazione della «macchina burocratica», per migliorare le capacità del Paese di liberare energie e generare opportunità. Da ultimo, bisogna agire per la promozione della cultura del merito e delle pari opportunità nelle organizzazioni, per incentivare la crescita delle pratiche di diversity & inclusion rivolte a giovani e donne, specie nelle posizioni manageriali.

Insomma, si tratta di obiettivi e azioni sfidanti che chiamano in causa proprio i manager ai quali spettano le grandi responsabilità di dare corpo e portare ad esecuzione i tanti programmi e progetti previsti dal PNRR. Una finestra di opportunità da cogliere senza indugio, con coraggio, preparazione, spirito di servizio e professionalità. Per il bene del merito, che è bene per il Paese.
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