Guidare con prudenza
2035, Odissea dell’auto. Lo stop dell’UE ai motori diesel e benzina avrà impatti significativi sul settore automotive. Lavoriamo alla transizione green, ma non ci può essere una crescita sostenibile senza un’industria in buona salute
Direttore Generale Federmanager
Net-zero.
L’inglese prova a rendere immediato ciò che così non è. Ovvero, l’obiettivo di un’Europa climaticamente neutra entro il 2050, portando a zero, appunto, le emissioni dei nemici numero uno del clima, i cosiddetti “greenhouse gas”.
Traguardo ambizioso, secondo alcuni molto, anche troppo, alla luce degli impatti della crisi energetica aggravata dal conflitto in corso in Ucraina.
Per raggiungerlo, l’Unione sta provando a mettere in campo, pur nell’eterogeneità della sua composizione, un piano d’azione che interessa anche sensibilmente il settore dell’automotive, che è storicamente sul banco degli imputati per la quantità di emissioni prodotte. Lo fa con fermezza: dal 2035 stop ai motori diesel e benzina in favore di sistemi a trazione puramente elettrica.
Il 2035 nel calendario del mondo equivale al “domani” immediato, un battito di ciglia nella storia, entro cui riconvertire industrialmente e commercialmente un settore che contribuisce in maniera rilevante – circa l’8% del PIL UE - a reggere l’impalcatura economica e sociale dei 27 Paesi.
Per capire meglio in che direzione stiamo andando, la nostra Federazione ha recentemente elaborato con l’Associazione italiana economisti dell’energia un rapporto dedicato proprio alla rivoluzione in atto nel settore automotive, che si inscrive nel solco della collaborazione portata avanti sui temi dell’energia, ormai da anni, insieme ad Aiee.
Lo studio intende stimolare una riflessione ampia sul rapporto tra determinazioni politiche, italiane ed europee, e attuali possibilità operative, offrendo gli elementi per valutare se e come sia sostenibile una transizione accelerata di settore al 2035, considerando gli impatti che essa avrà in termini di ricadute industriali, occupazionali e sociali.
In una competizione globale che vede Cina e Stati Uniti più avanti nella corsa ad alcune delle tecnologie essenziali nella produzione di auto elettriche, l’Europa rischia di tagliarsi le gambe da sola, abdicando a una leadership tecnologica già sviluppata in altri ambiti e senza una politica industriale che armonizzi le diverse istanze nazionali, per le ragioni di tipo strategico ed economico che differenziano i singoli Stati membri.
Il nostro Paese potrebbe risultare tra i più penalizzati in caso di scelte aprioristiche, alla luce dell’eccellenza conclamata che caratterizza la produzione nazionale di componentistica, applicata in particolar modo alle vetture con motore diesel o benzina.
Ci sono poi questioni che emergono, sull’intero territorio italiano, in relazione alla rete infrastrutturale necessaria per garantire i punti di ricarica dei veicoli e all’approvvigionamento a monte dell’energia elettrica necessaria.
Tante domande sul tavolo e talune risposte che, più che rassicurare, lanciano segnali di un ambientalismo di maniera, a cui va sempre preferita una strategia “sostenibile”, nel senso più ampio del termine.
Certo, il pianeta non può aspettare, ma senza una visione industriale efficace e lungimirante si rischia solo di creare bolle che, come si sa, sono destinate a esplodere.
01 aprile 2023