Non si governa il Paese perseguitando i pensionati
In campagna elettorale nel mirino le pensioni sopra i 5 mila euro non giustificate da contributi. Adesso si scende a 4-5mila euro. Domani ? Mettere in discussione continua il merito e la certezza del diritto delle pensioni aumenta l’ansia e la sfiducia nelle capacità di governo del Paese.
Il Presidente del Comitato Nazionale di Coordinamento dei Gruppi Pensionati Federmanager
Cari colleghi,
dopo aver letto le ultime esternazioni del Ministro del Lavoro, Di Maio vorrei condividere con voi alcune mie considerazioni.
Avevo già trovato inquietante leggere nel programma di governo in corso il paragrafo n.26 nel quale sono scritti nello stesso paragrafo, e pertanto messi sullo stesso piano, i tagli dei costi della politica, delle istituzioni e delle pensioni c.d. “d’oro”. Col preciso intento di riversare sui pensionati lo stesso discredito con cui i cittadini guardano ad alcuni privilegi dei politici e alla inefficienza del sistema burocratico. E, invece, le situazioni sono completamente diverse. In nessun modo fra loro comparabili.
I vitalizi hanno origine da valutazioni politiche completamente estranee alla creazione e alla gestione del sistema previdenziale. E i costi della burocrazia, come della sua inefficienza, son il risultato della incapacità della politica stessa di dare alla collettività un ordinamento amministrativo al passo coi tempi. In questa inefficienza si annida il più grande furto, in termini di sprechi di danaro pubblico, a danno dei cittadini. Al disprezzo con cui si parlava di vitalizi e di burocrazia si erano associate anche le pensioni, sia pure quelle al disopra di 5000 euro netti mensili. Ora il Ministro Di Maio parla di 4-5 mila euro senza specificare se netti o lordi.
Cosa significa dire che si vogliono tagliare le pensioni al disopra di tali importi se non sono coperte da contributi versati? Che saranno ridotte tutte a 4 o 5000 euro, con un decreto da “esproprio proletario”? Che si procederà ad un loro ricalcolo applicando il sistema contributivo? E sulla base di quale documentazione, visto che gli stessi vertici dell’INPS in un’audizione del 15 marzo 2016 presso la Commissione Lavoro della Camera dei Deputati hanno dichiarato che l’operazione non è fattibile? Infatti, hanno precisato che:
- I dati per il ricalcolo – nel settore privato – mancano o sono parziali o sono inutilizzabili per vari motivi;
- I dati per il ricalcolo – nel settore pubblico – sono del tutto assenti;
- Molte pensioni, se ricalcolate con il contributivo, aumenterebbero.
E allora in che modo attuare i tagli proposti? Escludendo permanentemente dalla perequazione queste pensioni? Assoggettandole ad altre tipologie di prelievi?
Vi è nota la situazione, più volte è stata segnalata in articoli, interviste e nel corso delle tante riunioni. La categoria dei pensionati è sfiancata dai continui attacchi cui è sottoposta. Basti ricordare che le pensioni hanno subito, negli ultimi 20 anni, ben sette sospensioni della perequazione, di cui 4 negli ultimi dieci e da quattro anni ricevono un adeguamento irrisorio con effetti di trascinamento devastanti. In aggiunta, queste pensioni, negli stessi anni, hanno subito ben 6 prelievi pluriennali in applicazione di provvedimenti furbescamente denominati “contributi di solidarietà”. Misure che sono state, invece, delle vere e proprie imposte aggiuntive sulle pensioni.
Concludo queste brevi considerazioni. Se si ritiene che, per esigenze di equità sociale, i redditi al disopra di un certo livello vadano ridotti, lo strumento è nell’art.53 della Costituzione, dove è detto che tutti i cittadini devono concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Le pensioni più alte possono benissimo essere assoggettate ad una aliquota più elevata. Nessuno vuole chiudersi a difesa di egoismi di categoria, ma questo non può essere fatto solo a carico dei redditi da pensione, cioè con riferimento alla fonte del reddito. Perché questa sarebbe una misura discriminatoria e, pertanto, censurabile per illegittimità costituzionale. Un tale provvedimento sarebbe comunque inapplicabile, perché in contrasto con il regime fiscale che il nuovo governo intende attuare, con due aliquote fisse al 15% e al 20%.
Sono certo che queste minacce, insensate e contraddittorie, del Ministro del Lavoro, a danno dei pensionati saranno oggetto di attente valutazioni e di interventi appropriati da parte delle nostre Associazioni di categoria.
01 agosto 2018