Pensioni sotto attacco: la svalutazione continua

Da oltre venticinque anni le pensioni sono nel mirino: manovre di bilancio e decreti hanno stravolto la perequazione, riducendo il potere d’acquisto e colpendo soprattutto chi ha versato di più. Non è difesa di privilegi, ma di diritti: la pensione non è più un porto sicuro, e senza partecipazione attiva il peso del risanamento continuerà a gravare sui pensionati

Antonio Dentato   

Componente Sezione Pensionati Assidifer - Federmanager







Quasi ogni mese questa Rivista torna a occuparsi del tema delle pensioni, non solo in rispetto della sua struttura formale, ma perché, insieme a poche altre iniziative di informazione e di approfondimento su questioni socioeconomiche, resta uno strumento di forte impegno civile che i pensionati hanno per difendersi e denunciare provvedimenti che, con implacabile continuità, ne riducono il valore reale. Ogni Legge di Bilancio introduce infatti nuovi interventi che, anziché tutelare i redditi maturati in una vita di lavoro e contributi, ne erodono progressivamente il potere d’acquisto.

La questione non riguarda più soltanto noi: è ormai un tema sociale e politico di primo piano. Lo conferma la conferenza stampa promossa da CIDA – lo scorso 17 settembre – in collaborazione con il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, durante la quale è stato presentato lo studio La svalutazione delle pensioni in Italia, un’analisi che va oltre le cifre e fornisce una prospettiva ben definita: la svalutazione progressiva delle pensioni come scelta politica di lungo termine. Una soluzione che, però, mina il patto sociale e alimenta sfiducia nelle istituzioni: ecco perché occorre ripetere e riportare il tema al centro del dibattito pubblico e pretendere un confronto trasparente con chi governa. Non si tratta di difendere privilegi, ma di garantire equità, giustizia sociale e rispetto dei diritti costituzionalmente garantiti.

L’analisi ha evidenziato gli effetti della mancata rivalutazione dei trattamenti pensionistici negli ultimi 30 anni (maggiori dettagli nell’articolo Mancata rivalutazione pensioni: in 30 anni bruciato un anno di vitalizio pubblicato su Dirigenti Industria, ottobre 2025). L’aspetto che nell’analisi viene maggiormente evidenziato è la ripetitività dei tagli, che iniziano nel lontano 1996. Dal 1997 al 2025, in soli 28 anni, il meccanismo della rivalutazione delle pensioni è cambiato in modo discrezionale per ben 15 volte. In un’altra parte dello studio il giudizio è ancora più severo e segnala le gravi perdite e le troppe arbitrarietà perpetrate dai vari Governi che, nel periodo considerato, si sono succeduti alla guida del Paese. Innanzitutto, il “continuo balletto fra rivalutazione a scaglioni e per fasce”. Meccanismo, quest’ultimo, che penalizza fortemente le pensioni oltre 4 volte il minimo. È la fotografia sconcertante di quello che è stato fatto sulle pensioni negli ultimi decenni e continua… 
C’è, però, una buona notizia. Dopo anni di pressioni sui vari Governi, finalmente, con il Decreto Ministeriale 15 novembre 2024 è stato ripristinato il meccanismo di rivalutazione più favorevole, quello a scaglioni (invece di quello per fasce). Qui finisce la buona notizia. Perché la partita non è chiusa. Per tre motivi. 

Il primo riguarda un argomento più volte trattato in questa Rivista: con il ritorno al sistema standard, la valorizzazione automatica a scaglioni è ricominciata da quel valore della pensione che non considera l’incremento che si sarebbe prodotto se non fossero intervenuti blocchi e modifiche in peggio del meccanismo perequativo; per chi quei provvedimenti li ha subiti, continuerà “l’effetto nefasto di trascinamento per tutta la vita”, per dirla con una sintetica ed efficace espressione ripresa dalla Relazione sopra citata.

Gli altri due afferiscono a: 
  • l’ipotesi d’incostituzionalità dell’intero sistema di perequazione delle pensioni adottato con le Leggi di Bilancio 2023 e 2024; 
  • il diritto negato alla rivalutazione della pensione a una minoranza di pensionati, senza nessuna apprezzabile motivazione. 

L’incostituzionalità del meccanismo di perequazione 

Nel mese di giugno 2025 il Tribunale di Trento (Sezione Lavoro) ha sollevato davanti alla Corte Costituzionale la questione di legittimità delle norme che, con le Leggi di Bilancio 2023 e 2024, hanno applicato il meccanismo di perequazione delle pensioni “a blocchi”. In pratica, invece di adeguare le pensioni all’inflazione per scaglioni – come previsto dalle disposizioni che regolano la materia (V. art. 34 co. 1 Legge 23.12.1998, n. 448; art. 1 co. 478 Legge 160/2019; Cfr. Sent. Cost. n. 19/2025, p. 7 e p. 9.1) – è stato adottato un sistema “a blocchi” che vede l’applicazione di un’unica percentuale di miglioramento sull’intero importo pensionistico. Una modalità che produce distorsioni gravi. Infatti non si tratta solo di minore adeguamento, ma di appiattimento verso il basso delle pensioni medio-alte. Ciò determina un’ingiustizia evidente: chi ha versato di più e ha pagato alti contributi per costruirsi una pensione di maggiore consistenza, vede cancellati i propri sforzi, la sua pensione perderà progressivamente valore in termini di potere d’acquisto, vita natural durante dell’interessato. E questo è contro il principio di proporzionalità più volte riaffermato dalla Corte Costituzionale che, ai fini della determinazione della pensione, fa espresso riferimento alla quantità e qualità del lavoro prestato dal titolare durante la sua vita lavorativa. 
È, dunque, nel quadro delle osservazioni appena svolte che va letta  l’Ordinanza del Tribunale di Trento. In attesa della Pronuncia della Corte Costituzionale possiamo dire, dunque, che la questione della rivalutazione della pensione resta aperta.

La ragionevolezza come parametro di riferimento nella rivalutazione 
delle pensioni

E resta aperta anche l’altra questione, quella relativa alla mancata perequazione per i residenti all’estero, che trova ulteriori elementi di sostegno proprio nelle considerazioni che si leggono nell’Ordinanza appena detta. Perché l’Ordinanza di Trento non si limita, semplicemente, a evidenziare dubbi di costituzionalità relativi al meccanismo a “fasce” di cui sopra, ma fornisce elementi di riflessione e di analisi anche su altre tematiche pensionistiche dibattute nelle strutture della nostra Organizzazione, come i parametri che il legislatore è chiamato a rispettare nelle decisioni relative alla rivalutazione annuale delle pensioni: in primo luogo la ragionevolezza. 
Un parametro fondamentale, sul quale la Corte ha più volte richiamato il legislatore a un rispetto rigoroso. Infatti, “il sacrificio dell’interesse dei pensionati alla conservazione del potere di acquisto degli assegni […] non può dirsi ragionevole quando le esigenze finanziarie sottese all’intervento di limitazione della rivalutazione siano non illustrate in dettaglio. Occorre quindi una motivazione sostenuta da valutazioni della situazione finanziaria basate su dati oggettivi, emergenti, ad esempio, dalle relazioni tecniche di accompagnamento delle misure legislative” (sent. n. 234 del 2020, punto 15.2.3 e precedenti ivi citati; conf. sent. n. 19 del 2025, punto 10). 
 

Discriminazione ingiusta e immotivata

Ed è, appunto, con riferimento a questo indirizzo della Corte Costituzionale che sono state avviate iniziative che concernono la questione aperta da quell’art. 1 c. 180 della Legge di Bilancio 2025. Norma che, come noto, ha escluso dall’adeguamento automatico all’inflazione, “in via eccezionale”, i pensionati italiani residenti all’estero con trattamenti superiori al minimo INPS. È una scelta che non solo intacca il potere d’acquisto di questi pensionati, ma sancisce un’ingiusta discriminazione rispetto a chi, con lo stesso livello di assegno, risiede in Italia1. Le motivazioni di questa esclusione dovrebbero emergere, secondo l’insegnamento della Corte, dalla Relazione tecnica che ha accompagnato la Legge di Bilancio 2025 ove troviamo che: “La disposizione è diretta a limitare l’effetto della perequazione sugli importi pensionistici dei pensionati residenti all’estero con reddito pensionistico superiore all’importo minimo”. In altri termini la motivazione è questa: se un pensionato risiede all’estero e percepisce una pensione superiore al minimo INPS, gli viene negato l’adeguamento per l’anno 2025, chi invece ha un assegno più basso lo riceve. Tutto qui. I “dati oggettivi” – relativi alla “situazione finanziaria” – li troviamo nella tavola statistica della Relazione tecnica: sono 353.514 i trattamenti pensionistici pagati dall’INPS all’estero, di questi 292.750 sono pensioni fino a 1 volta il minimo, che quindi ottengono la rivalutazione; ne restano 60.764 che, invece, ne sono escluse. La Relazione tecnica – come si legge nella documentazione dell’Ufficio parlamentare di bilancio – stima un risparmio di spesa al netto degli effetti fiscali pari a 8,6 milioni nel 2025 (circa 83,6 milioni nel periodo 2025-2034, data la riduzione dello stock pensionistico su cui applicare la rivalutazione negli anni successivi al 2025)2

Una quantificazione che porta, necessariamente, a fare il conto di tutti i provvedimenti riduttivi adottati in questo primo quarto di secolo, e che produrranno effetti di trascinamento fino al 2034. Dalle Relazioni tecniche che hanno accompagnato quei provvedimenti risulta che, fino a quella data, le pensioni d’importo superiore al minimo INPS, a causa di mancate rivalutazioni, subiranno una perdita di 88 miliardi circa. Ma una parte di questa perdita è messa esclusivamente sulle spalle dei pensionati residenti all’estero3, senza nessun chiarimento con riguardo alle “valutazioni della situazione finanziaria, basate su dati oggettivi” che hanno indotto il legislatore a introdurre un provvedimento in evidente violazione di principi e norme poste a difesa della libertà dei cittadini di fissare la loro residenza dove meglio credono: 
  • violazione del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.);
  • violazione della libertà di emigrazione (art. 35, c. 4 Cost.);
  • violazione del diritto europeo in materia di sicurezza sociale (Reg. CE 883/2004, art. 7);
  • mancato rispetto di convenzioni bilaterali internazionali.

Infine, va aggiunto, che il provvedimento è stato adottato senza chiedere il parere preventivo e obbligatorio del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero (CGIE), come prescritto dalla norma istitutiva di questo Organismo4

Quando la pensione non è più un porto sicuro

Per le cose dette fin qui, è necessario formulare alcune riflessioni e trarre le conseguenze che ne derivano. Lo abbiamo già affermato più volte in questa Rivista e vale la pena ribadirlo: è finita l’illusione di un tempo sereno di riposo per dirigenti e quadri in pensione che, durante la vita lavorativa, hanno pagato imposte con le aliquote più elevate, hanno versato ingenti contributi previdenziali, hanno assunto ruoli di alta responsabilità e rischi, contribuendo in modo decisivo allo sviluppo economico e sociale del Paese. L’esperienza dei primi venticinque anni di questo nuovo secolo dimostra che per questi pensionati non esiste una fase di tranquillità in cui poter “staccare” dalle scelte politiche che incidono direttamente sulla loro condizione economica. Una volta maturata la pensione e fissate le regole di pagamento e di rivalutazione, sembrava che il patto con lo Stato fosse concluso. E invece non è così.

Se appartieni alla fascia di reddito dai “35mila euro in su” fai parte di quel 13,94% di pensionati che versa il 46,33% del gettito fiscale5. È proprio a questa categoria che la politica rivolge i propri interventi: con leggi, decreti e manovre di bilancio, introduce sistemi di calcolo che comprimono progressivamente il valore delle pensioni, altera il meccanismo della perequazione, lo svuota di significato e decide quanta parte del reddito debba essere erosa. Non basta confidare che si tratti di misure eccezionali o temporanee: la politica ti insegue, dovunque ti trovi, in Italia o fuori dall’Italia, senza tenere conto della tua situazione economica e/o personale.
Per questo è fondamentale non cedere alla rassegnazione. Chi pensa di potersi disinteressare delle scelte politiche scopre, prima o poi, che ogni Legge di Bilancio incide direttamente sulle sue tasche. Occorre, invece, vigilanza attenta, impegno costante e, quando necessario, ricorsi nelle sedi di giustizia competenti. Perché la pensione non è più un porto sicuro: se vogliamo difenderla, dobbiamo restare protagonisti attivi del dibattito pubblico e non lasciare che altri decidano del nostro futuro.

Un’iniziativa Federmanager 

In questa prospettiva, e in vista della Legge di Bilancio 2026, Federmanager – in quanto associazione maggiormente rappresentativa dei dirigenti e dei quadri apicali dei dirigenti industriali – ha elaborato un documento che raccoglie una serie di proposte a sostegno del management in servizio e in pensione. Nel numero di ottobre 2025 di questa Rivista, nell’articolo intitolato Verso una maggior consapevolezza, vengono presentate le proposte relative a Fisco, Sanità integrativa e Formazione. 
In particolare, qui segnaliamo il capitolo dedicato alla Previdenza: 
  • Rivedere l’indicizzazione delle pensioni: superare definitivamente ogni forma di congelamento della perequazione; puntare alla rivalutazione al 100% o, almeno, mantenere la rivalutazione per scaglioni, abbandonando il modello applicato “in deroga” per alcuni anni per esigenze di bilancio pubblico. 
  • Abolire i limiti alla pensione anticipata contributiva: eliminare le norme della Legge di Bilancio 2024 che impongono soglie di importo a chi accede alla pensione anticipata con il sistema contributivo.
  • Tutela dei pensionati italiani all’estero: abolire la disposizione che esclude i pensionati residenti all’estero dal meccanismo di rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici.

Il documento andrà diffuso e portato all’attenzione dei decisori politici affinché sia preso in considerazione nella prossima Legge di Bilancio 2026. 
Perché ciò avvenga, sono indispensabili impegno attivo e determinazione ai diversi livelli dell’Organizzazione. Occorre rivendicare con decisione i diritti in gioco e rendere visibile la nostra voce nello spazio pubblico; solo così si potrà evitare che, ancora una volta, l’aggiustamento dei conti pubblici sia attuato con misure depressive sulle pensioni. Rimanere protagonisti, senza delegare ad altri il compito di decidere il nostro futuro, è una responsabilità che continua a coinvolgere ciascuno di noi e la collettività. Insieme.
UNA TASSA NASCOSTA SULLE PENSIONI?
Il 21 ottobre si è svolta l’udienza pubblica della Corte Costituzionale sull’Ordinanza n. 23/2025/M della Corte dei Conti dell’Emilia-Romagna, che solleva dubbi di legittimità costituzionale sull’art. 1, comma 309, della legge 29 dicembre 2022, n. 197.
L’Ordinanza evidenzia che si tratta di plurimi interventi nel corso degli anni (8 a partire dal 1997) che hanno comportato una distorsione dello strumento (intervento eccezionale) che diviene ordinario, sì da violare ragionevolezza e uguaglianza. Pertanto ha dichiarato rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale:
  • dell’art. 1, comma 309, della legge 29 dicembre 2022, n. 197 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025);
    •  in riferimento all’art. 53 della Costituzione;
    • in riferimento al principio della ragionevolezza e temporaneità delle misure eccezionali.
La questione è ora, come detto, all’esame della Corte Costituzionale, che, a seguito dell’udienza del 21 ottobre, dovrà stabilire se le modifiche riduttive apportate al meccanismo di perequazione siano compatibili con i principi di legalità, uguaglianza ed equità tributaria.
NOTE
1) Una discriminazione (come anche indicato nei documenti CIDA e Federmanager) che produce effetti non solo nell’oggi: questi infatti cresceranno nel tempo, come gli interessi composti ma in negativo, anno su anno, vita natural durante del pensionato. Infatti, mentre ai pensionati in Italia verrà applicata la rivalutazione secondo il meccanismo a scaglioni, ai residenti all’estero l’adeguamento riprenderà, ma dall’importo bloccato, a fine 2024, dal sistema contestato davanti alla Corte Costituzionale.
2) Cfr. Audizione della Presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio nell’ambito delle audizioni preliminari all’esame del disegno di Legge di Bilancio per il 2025 (C. 2112-bis) Commissioni riunite V della Camera dei deputati (Bilancio, tesoro e programmazione) e 5a del Senato della Repubblica (Programmazione economica, bilancio), 5 novembre 2024, p. 107. 
3) Esiste un diffuso pregiudizio, frutto di una pubblicistica non sempre obiettiva  e documentata,  che descrive  i pensionati che trasferiscono la residenza all’estero come soggetti interessati soprattutto ad ottenere vantaggi fiscali. La realtà è ben diversa.  Lo spiega l’INPS nel suo sito internet: “Le pensioni pagate ai non residenti in Italia da enti residenti in Italia o da organizzazioni stabilmente operanti nel nostro Stato, sono imponibili in linea generale in Italia”.  Su 160 Paesi esteri in cui vengono pagate pensioni dall’INPS i più vantaggiosi dal punto di vista fiscale sono in numero molto limitato, e fanno riferimento a Convenzioni bilaterali stipulate nel secolo scorso. (Vedi Rapporto INPS Pensioni pagate all’estero. Aggiornamento anno 2023).  Va aggiunto che i pensionati che si trasferiscono stabilmente all’estero sono iscritti all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero) e vengono automaticamente esclusi dal sistema sanitario italiano.
4) V. Consiglio Generale degli italiani all’estero, 2025, la Segretaria Generale del CGIE Prodi: La metà dei finanziamenti, il doppio della determinazione; CGIE, Legge 368/1989, art. 3, c. 1-bis.
5) Cfr. Osservatorio sulla spesa pubblica e sulle entrate 2025, dodicesima indagine sulle entrate fiscali. Le dichiarazioni dei redditi 2023: l’analisi IRPEF e delle altre imposte dirette e indirette per importi, tipologia dei contribuenti e territori negli ultimi 16 anni. Centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali. 
Archivio storico dei numeri di DIRIGENTI INDUSTRIA in formato pdf da scaricare, a partire da Gennaio 2013

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